di Glauco Bertani.
Ignazio La Russa, presidente del Senato, seconda carica delle Stato dopo il Presidente della Repubblica, parte bene dicendo: «Assoluta e totale condanna» per la vicenda del giornalista della Stampa Andrea Joly, aggredito a Torino da un gruppo di militanti di estrema destra (tradotto: da neofascisti) davanti al circolo "L'Asso di Bastoni", sede nel capoluogo piemontese di CasaPound, fascisti, come si autodefiniscono, del “terzo millennio”, ma poi inciampa sul proprio passato di ex missino e An: «ma ci vuole un modo più attento di fare le incursioni da parte dei giornalisti» anche perché «la persona aggredita, a cui va la mia solidarietà, non si è mai dichiarata giornalista». Questo «non giustifica nulla» afferma La Russa frequentatore di piazza San Babila a Milano, luogo neofascista per eccellenza negli anni Settanta, ma «non credo che il giornalista passasse lì per caso» e «trovo più giusto se l'avesse detto».
Ecco.
Facciamo allora una balzo all'indietro nel tempo storico.
Nico Azzi, autore del fallito attentato terroristico al treno Torino-Roma il 7 aprile 1973, morì nel 2007. Ai suoi funerali – scrive Miguel Gotor in “Generazione settanta” – «che si svolsero nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano tra croci celtiche e fasci littori, partecipò, in nome dell’antico cameratismo e dei comuni ideali di gioventù, anche il deputato di Alleanza nazionale Ignazio La Russa, che l’anno successivo sarebbe divenuto ministro della Difesa del governo Berlusconi. Nico Azzi, fu arrestato in flagranza di reato perché rimase ferito mentre posizionava l’ordigno e si rivelò essere un neofascista di Ordine nuovo, iscritto al Movimento sociale italiano fino al 1971, frequentatore del gruppo di camerati milanesi di piazza San Babila. Le indagini evidenziarono che, prima di collocare la bomba, l’attentatore aveva sparso sul luogo previsto per l’esplosione delle copie di “Lotta Continua”, in modo da attribuire ai “rossi” la responsabilità dell'eccidio e creare da subito le basi per il conseguente depistaggio e per un immediato collegamento emotivo, a livello di opinione pubblica, con la vicenda Pinelli/Calabresi. Smascherato dalla stampa come militante neofascista, di fronte agli inquirenti dichiarò l’obiettivo della sua azione: provocare una strage, come sarebbe avvenuto se l’ordigno, secondo i piani, fosse deflagrato in una galleria, per favorire un riflesso d’ordine funzionale a creare le condizioni per un colpo di Stato sul modello dei colonnelli greci».
A suggello di tutto questo vogliamo ricordare che «tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia a partire dal 1969 appartengono a un’unica matrice organizzativa [...] le direttive partono da apparati inseriti nelle istituzioni [...]. Si tratta del gruppo che dette vita o aderì successivamente al centro studi Ordine nuovo di Pino Rauti. Tale gruppo ha il suo baricentro nel Veneto, ma naturalmente ha agito anche a Roma e a Milano» (Gotor), così le confessioni, nel 1984, del neofascista Vincenzo Vinciguerra, autore il 31 maggio 1972 della strage di Peteano, in cui morirono tre carabinieri.
Bibliografia:
Miguel Gotor, Generazione Settanta. Storia del decennio piú lungo del secolo breve 1966-1982, Einaudi (2022).
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