L'ondata di destra, che
qualcuno aveva già deciso che avrebbe travolto tutto, si è prosciugata in Gran
Bretagna, ha sbattuto contro un muro in Francia e addirittura, dopo la generosa
(e obbligata) rinuncia di Biden potrebbe perfino essere sconfitta negli Stati
Uniti, dove co Kamala Harris i democratici hanno improvvisamente ripreso vita
ed entusiasmo.
In Italia il PD si
conferma l'unica vera grande comunità politica di massa, un partito né
padronale né populista, complicato quanto si vuole, facile a repentini
entusiasmi e ancora più frequenti delusioni, ma vivo e vegeto, fatto da tanti
elettori e militanti che semplicemente gli vogliono bene a ragion veduta. Una
cosa che analisti da salotto, illuminati professori e gufi di professione non
riescono proprio a capire. Nonostante sia ormai da 15 anni il progetto politico
più bistrattato del dopoguerra il PD continua a dimostrare una vitalità
ineguagliata.
Non è che forse essere
così aperti alla discussione (a volte feroce), in realtà produce i giusti
anticorpi all'eterno rischio di non creare ricambio o al contrario generare
solo scissioni? D'altronde in tre anni abbiamo cambiato tre segretari, l’ultima
eletta tramite primarie che hanno ribaltato il risultato degli scritti. Quale
altro partito sarebbe sopravvissuto a una vicenda (bizzarra, ma statutariamente
legale) come questa? Eppure la nostra comunità ha dimostrato, allora e anche
alle ultime elezioni, di capire bene cosa significa farne parte. Una comunità
che non confonde l'unità con l'unanimismo e che non premia chi se ne va,
soprattutto se la materia del contendere si riduce ad ambizioni personali. Se
c'era bisogno di una conferma bisogna ripetere ad alta voce che spesso c'è più
fiducia nel PD che al suo interno.
E questa è una risorsa
enorme. Per questo occorre sempre di più aprire le porte e le finestre della
nostra comunità e far entrare quel capitale enorme di disponibilità, entusiasmo
e passione disperso negli anni in esperienze politiche anche progressiste, ma
schiacciate da visioni ristrette e prospettive anguste.
Ma veniamo a casa nostra.
Il PD dopo una sconfitta politica si è sempre cimentato in discussioni
pubbliche (addirittura in streaming), a volte al limite dell'autoflagellazione.
Troppa autocritica probabilmente fa male, ma evitarla come la peste è molto
peggio. Non è nel DNA della Destra ad esempio. Spero che a Reggio vi sia stato
al suo interno (e all'interno delle altre forze di posizione sconfitte) un
dibattito serrato e impietoso come quelli che noi sappiamo fare fin troppo
bene, ma anche se così è stato nulla è trapelato nella discussione pubblica. E
questo è già una risposta sul perché del risultato elettorale.
Prendiamo l'esempio della sicurezza in zona stazione e non solo. Tema principe della destra e anche di altre liste d'opposizione (una presentava come candidati anche un paio di attivisti del comitato locale: 33 preferenze in totale). Peccato che gli elettori di Reggio Emilia abbiano capito perfettamente che per quanto si possa chiedere più presenza di forze dell’ordine questo non dipende certo dal sindaco, ma dal Ministro dell’Interno (spoiler: è della Lega), così come della situazione esplosiva delle carceri dovrebbe occuparsi il Ministro della Giustizia (spoiler: è di Fratelli d’Italia).
E dato che in democrazia
l'unico sondaggio che conta è il voto degli elettori, con questo bisogna fare
pace. Semplicemente bisogna prendere atto che i cittadini, anche molti di
quelli che criticano l’amministrazione comunale, ancora meno si fidano di chi
si è proposto come alternativa.
Vi do anche una notizia.
La sicurezza è un tema di sinistra. E non parlo solo di quella sociale
sanitaria e ambientale, parlo proprio della sicurezza fisica delle cose e delle
persone. Perché senza sicurezza non c'è democrazia né giustizia e quindi
ordine. Ben vengano i militari in stazione (non a mettere sacchi di sabbia e
mitragliatrici, come vorrebbe qualcuno) a costituire un presidio fisso. Tutti
sanno che non è la soluzione che risolve ogni problema. Il vero vantaggio è
dato dal fatto che così si liberano forze di polizia che possono pattugliare.
Il che ci riporta alla questione di fondo. Ci vogliono, e non solo a Reggio
Emilia, ma in Italia, più forze dell’ordine (poliziotti e carabinieri), nuove
carceri, più sicure e vivibili sia per i detenuti che per chi li sorveglia, più
assistenti sociali e educatori. E una politica immigratoria degna di questo
nome, non un’accozzaglia di grida manzoniane e furbate elettorali, buone solo
per scaricare il peso dell’accoglienza e dell’integrazione su città e regioni (spoiler:
soprattutto quelle di sinistra, ma guarda!). Vi ricordate il famoso "Andremo
a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo" di meloniana
memoria ?
Poi il sindaco Massari,
che su questo ha preso un impegno mettendoci la faccia dovrà, come promesso,
fare tutto il possibile, anche attraverso una gestione diversa della polizia
locale, che può e deve continuare a intervenire sulla prevenzione del crimine,
segnalando contemporaneamente il disagio sociale e il degrado ambientale
ovunque si manifesti.
Mi si permetta una giocosa battuta finale, dedicata a chi prima delle elezioni dipingeva Reggio peggio delle peggiori favelas sudamericane e ora, soprattutto sui social se la prende con i reggiani che si meriterebbero questa situazione. Sono come i castori, animali simpaticissimi ed industriosi, a cui i denti crescono in continuazione quindi per tutta la vita sono condannati a rosicare (d’altronde sono roditori).
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