di Glauco Bertani.
I fascisti uccisi durante le giornate insurrezionali
Ogni tanto, ma soprattutto in occasione delle date del calendario civile relative alla Resistenza e alla guerra di Liberazioni, qualche politico della destra fornisce i numeri dei fascisti uccisi durante le giornate insurrezionali e in quelli successivi. Questa volta l'occasione è stata la commemorazione del 44° anniversario della strage di Bologna del 2 agosto 1980, quando Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione che riunisce i familiari degli 85 morti e i 200 feriti, chiama in causa la presidente del Consiglio e il suo esecutivo per il mancato riconoscimento della matrice fascista dell'attentato e afferma che le «radici di quell'attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo».
La destra
insorge e fra questi il parlamentare reggiano di Fratelli d'Italia, Gianluca
Vinci, che respingendo le accuse di Bolognesi, afferma «Questo lo dico da
emiliano, da cittadino reggiano, un territorio, il mio, martoriato dal 1946
dalla trucidazione nel triangolo rosso della morte di circa 5.000 persone ad
opera dei comunisti».
Ma quanti furono
i fascisti uccisi durante le giornate insurrezionali nel nord Italia? Quanti
furono i franchi tiratori di Mussolini? Difficile quantificare, ma «le cifre più
attendibili – scrive lo storico Santo Peli – collocano il numero di fascisti
uccisi nell’insurrezione e nei giorni successivi tra i 10.000 e i 12.000, a
fronte di 3-4000 morti nella guerra antipartigiana».
E a Reggio Emilia? Attingiamo dal libro di Giannetto Magnanini “Dopo la Liberazione” (1992). L’elenco pubblicato è di 431 nominativi. È accertato che 142 morirono nelle giornate del 23-24-25 aprile, nei giorni in cui venne liberata tutta la provincia «in azioni di guerra aperta, armi alla mano dall’una e dall’altra parte». La cifra complessiva si avvicina a quella di 442, indicata da Guerrino Franzini, partigiano e autore di “Storia della Resistenza reggiana” ed è circa la metà di quella indicata dall’avv. Vittorio Pellizzi, partigiano e prefetto della Liberazione, che nel 1954 nel suo libro “Trenta mesi”, al dicembre 1945, le persone uccise non furono «neppure un migliaio». L’elenco stilato da Magnanini non è composto esclusivamente di fascisti o di vittime dell’odio politico, «ma comprende anche persone che non furono fasciste, fra cui alcuni partigiani e vittime di delitti comuni compiuti da individui camuffatisi da partigiani». Di ogni persona Magnanini ha riportato una scheda con le generalità, la data, la causa e il luogo di morte, più alcune indicazioni bibliografiche. Nazario Sauro Onofri, autore del “Triangolo rosso (1943-1947)” (1994) gli muove un appunto, condivisibile: «A nostro parere – scrive – per una migliore comprensione del fenomeno, sarebbe stato preferibile fare più elenchi, a seconda delle cause di morte», Anche il partigiano Guerrino Franzini era intervenuto, in modo approfondito nel 1966 quando pubblicò la citata “Storia della Resistenza reggiana”, sulle uccisioni avvenute nei giorni della Liberazione e in quelli successivi.
«Sul numero
delle persone uccise dalla Liberazione in poi – scrive – non esiste una
statistica ufficiale esauriente. Per quanto molto si sia parlato di questo
aspetto indubbiamente doloroso dell’insurrezione, nessuna delle versioni
pubblicate è sufficientemente esatta. La stampa fascista degli anni successivi
parlerà di 300.000 morti nell’Italia del Nord (vale a dire circa 10.000 per
provincia), ma sarà clamorosamente smentita». Cifre smentite anche dal ministro
dell'Interno, nel giugno 1952, Mario Scelba, che comunista non era proprio, «in
merito ai “trecentomila” assassinati al nord, devo dire che si tratta di una
delle menzogne più spudorate della propaganda del Movimento sociale».
Ma la cifra più
attendibile è certamente quella di 422 (risultante dal confronto e da un
conseguente vaglio accurato di tutti gli elementi disponibili in materia),
quasi tutte uccise o scomparse nei giorni della Liberazione e nel mese di
maggio. Franzini prosegue: «Confrontando gli elenchi nominativi divisi per
provincia, pubblicati dalla stampa neo-fascista nel nel 1952 e nel 1961 (fonte
interessata) con altri elenchi di fonte ufficiale, sia ha la cifra di 442 [nel
testo ricordiamo la cifra è di 422, un refuso?], che però potrebbe variare,
rispetto a quella reale di dieci o venti in più o in meno [se fosse dieci in
meno corrisponderebbe alla cifra indicata da Magnanini]. Può darsi, infatti,
che qualche nominativo sia sfuggito, ma può darsi anche – come del resto è
stato constato – che varie delle persone elencate da “Lotta politica” e da “Il
Meridiano d’Italia” siano morte prima e non dopo il 25 aprile. Infine, per
l’esattezza, non dovrebbero essere considerate come vittime di azioni
arbitrarie coloro che furono passati per le armi quali franchi tiratori. Di
queste 442 persone, 172 risultano morte dal 25 al 30 aprile, 107 nel mese di
maggio, 1 nel mese di giugno, 6 dal luglio al dicembre, mentre per le rimanenti
157 le fonti citate non precisano la data di morte».
Tuttavia, come
precisa lo stesso Magnanini, anche il lavoro di compilazione ha incontrato
serie difficoltà: «Notizie contrapposte, diverse, con storpiature di nomi,
cognomi, imprecisioni di date, di luoghi», “confusine” che il “Martirologio. L'ultima crociata”, pubblicato dall’Associazione
nazionale famiglie caduti e dispersi della Rsi Delegazione di Reggio Emilia
uscito nel 1991 (poi ritirato per i falsi e le imprecisioni contenute è ristampato
nel 1994) aveva alimentato. Il saggio del 1991 elencava 1.111 fascisti
reggiani caduti prima e dopo la Liberazione. Quelli morti prima del 25 aprile
sarebbero stati 548 e quelli dopo 299. Altri 264 nomi non hanno la data del
decesso.
Ma in seguito
alle critiche sollevate dall'allora Istituto storico della Resistenza e della
guerra di Liberazione in provincia di Reggio Emilia (oggi Istoreco) l'Associazione
dovette ritirarlo dalla circolazione. Era accaduto che accanto ai nomi dei
fascisti erano stati indicati quelli di una quarantina di civili fucilati per
rappresaglia dai nazifascisti; quelli di numerosi partigiani caduti combattendo
nei giorni dell'insurrezione e quelli di civili morti sotto i bombardamenti
aerei, per non dire dei nomi doppi e tripli. Nell'elenco erano stati compresi
anche Umberto Farri, Fernando Ferioli, Arnaldo Vischi, Ferdinando Mirotti e don
Umberto Pessina uccisi nel dopoguerra da partigiani comunisti, ma che fascisti
non erano.
Nel “Martirologio” ristampato nel 1994 vengono poi indicati nomi di
fascisti che non sono compresi nell'elenco indicato da Magnanini: ben 56 sono
morti nei tre giorni che vanno dal 24 al 26 aprile e per diversi si dice che
sono morti nella fuga verso e oltre il Po; una parte erano sui tetti a sparare
e, «sull’esempio di quanto fecero gli americani nel pomeriggio del 24 con il
primo catturato (si fecero consegnare un cecchino appena catturato in corso
Garibaldi e lo uccisero all’istante con una raffica di mitra) così si passarono
per le armi “nemici” che non volevano arrendersi».
A conti fatti, risulta molto difficile indicare con esattezza il numero dei
morti nelle province dell'Emilia-Romagna, come del resto altrove, perché non
esiste alcuna documentazione, sia ufficiale che di parte. Esistono, sostiene
Onofri nel libro citato, statistiche fatte da questure e prefetture in varie
epoche e con metodi diversi, non sempre accompagnate da elenchi nominativi. «Non
sono mai state rese note, anche se qualche cifra è apparsa qua e là, perché
Alcide De Gasperi – che fu primo ministro dal 12 dicembre 1945 al maggio 1953 –
è sempre stato contrario alla loro diffusione».
Un “Appunto” del 4 novembre 1946
In data 4 novembre 1946, su carta intestata del ministero dell'Intero, esiste
un “Appunto” con le cifre dei fascisti morti. «In quel periodo – scrive Onofri
– il ministero dell'Interno era retto dal presidente del consiglio De Gasperi,
con il socialista Angelo Corsi sottosegretario. Lo aveva assunto nel luglio
quando, dopo il voto del 2 giugno, aveva dato vita al suo secondo gabinetto.
Dal documento – non firmato – risulta che “il numero delle persone uccise,
perché politicamente compromesse, è di n. 8197 mentre 1167 sono state, per lo
stesso motivo, prelevate e presumibilmente soppresse”. Seguiva l'indicazione
delle cifre per ogni città. Queste quelle relative all'Emilia-Romagna: Reggio
Emilia 50 e 70; Modena 192 e 59; Forlì 127 e 20; Pama 206 e 3; Ferrara 211 e
60; Bologna 349 e 191; Ravenna 150 e 20; Piacenza 250 e 0. Totale 1535 e 423.
Totale definitivo 1958». Questo «Appunto» del novembre 1946, scrive sempre
Onofri, è comprensivo di tutte le persone uccise nel dopoguerra «mentre sarebbe
stato necessario e doveroso dividerle per categorie, dal momento che le cause
di morte furono le più diverse [...] Ma, per discutibili che possano essere,
queste cifre hanno il non piccolo merito di avere dato una dimensione quasi
reale all' "aprile 1945" e sgonfiato –
anche se non furono rese note – la campagna di menzogne promossa dai
neofascisti. Inoltre, sono definitive avendo subito modifiche meno che
marginali, come si ricava da un secondo “Appunto” del capo della polizia in
data 2 luglio 1948, quando il governo era retto da De Gasperi, con una
maggioranza di centro-destra: Dc, Psdi, Pli e Pri. Ministro dell'Interno era
Scelba».
Bibliografia:
Guerrino Franzini, Storia della Resistenza reggiana, ANPI, 1966 (ultima ristampa 2014).
Giannetto Magnanini, Dopo la Liberazione, Edizioni Analisi, 1992.
Nazario Sauro Onofri, Il Triangolo rosso (1943-1947), Sapere 2000, 1994.
Santo Peli, Storia della Resistenza in Italia, Einaudi, 2006 (ultima ristampa 2015).
Vittorio Pellizzi, Trenta mesi: appunti e documenti sulla lotta di liberazione e sulla prima ricostruzione nella provincia di Reggio Emilia, Poligrafica Reggiana, 1954.
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