Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


RelazioneCost

 Relazione di Maria Carmen Costabile


1 - Introduzione

Il Presidente Violante, con il suo recentissimo libro, torna, con la consueta chiarezza, sul tema giustizia. Sono convinta che non potevamo avere un relatore migliore, non solo per competenza ed autorevolezza, ma perché il suo vissuto lo ha portato ad approfondire il tema da punti di osservazione diversi: da magistrato, da politico e da accademico.

La nostra attenzione è rivolta all’ultimo trentennio di storia repubblicana, a partire dalla stagione di “Mani Pulite” fino ai nostri giorni, in cui i rapporti fra politica e magistratura restano molto complicati. Quella stagione politica rappresentò un’autentica svolta rispetto al periodo precedente ed è per questo che bisogna partire da lì per comprendere gli accadimenti successivi.

La magistratura, con un approccio mai visto prima, senza timidezze nè sconti mise sotto processo un’intera classe politica, che - evidentemente - non era stata in grado di controllare una corruzione dilagante e di rigenerarsi dall’interno. L’opinione pubblica sostenne l’azione dei magistrati, li idealizzò, investendoli di una missione moralizzatrice e del ruolo di “supplenti” della politica. La stampa e i media, funzionando da cassa di risonanza, fecero il resto. I grandi partiti andarono in frantumi, persero il contatto con le rispettive comunità di riferimento e non furono più in grado di esprimere una visione. Dilagò l’antipolitica e si andò consolidando quel sentire comune “giustizialista”, in cui si avverte, sia pure sotto traccia, l’eco di un pregiudizio antico, di un condizionamento etico, che richiamandosi al bene e al male, confonde il peccato con il reato.

La situazione peggiorò negli anni successivi, dominati dalla presenza di Berlusconi, che interpretò il garantismo a suo modo, facendo approvare leggi che lo mettevano al riparo dai processi. Si affermò, un po’ per volta, il primato del Codice penale, l’investigazione diventò centrale, invadendo la vita delle persone e il diritto penale diventò il criterio per determinare ciò che è giusto o ingiusto. Deriva da qui l’iperproduzione di norme penali, che rende la società punitiva e alimenta quella “cultura del sospetto”, che non si coniuga con i meccanismi di una democrazia matura, nella quale l’indagato coincide con il reo.

Dunque, ripristinare e mantenere il confine, fra politica e magistratura è una necessità imprescindibile perché l’ordinamento democratico si regge sull’equilibrio dei poteri. Se deborda la politica, la magistratura rischia la sua indipendenza, essenziale all’esercizio della funzione, se lo fa la magistratura, la politica potrebbe sentirsi minacciata, va in ansia e rischia di diventare inconcludente. La politica deve tornare ad esercitare quella funzione ordinatrice che le è propria, che consiste nel definire l’assetto normativo, stabilendo principi e regole.

La magistratura invece ha la funzione di applicare le leggi e di accertare le responsabilità, senza per questo sentirsi investita di una funzione salvifica. Ecco perché il Presidente Violante indica quale unica via di uscita dall’attuale situazione di stallo, che la politica e la magistratura voltino pagina, archiviando una volta per tutte logiche e sentimenti vendicativi o di rivalsa.

Solo questa operazione permetterà di ristabilire un equilibrio, rinnovandolo. Il che significa, in altri termini ricondurre il dibattito sulla giustizia nel suo perimetro naturale, segnato dai precetti costituzionali, ancora attualissimi, perché sicuramente siamo noi e non loro che invecchiamo più in fretta. 

Venendo alla riforma Cartabia, credo che questa vada nella giusta direzione, nel senso che la politica propone, per la prima volta, una riforma organica, offrendo a mio avviso un’indicazione positiva. Non mi sembra invece che la magistratura, con lo sciopero indetto per lo scorso 16 maggio al di là della sua costituzionalità, abbia offerto un’indicazione altrettanto apprezzabile per il superamento della crisi con la politica.

Infatti, si ha la sensazione che questa vicenda, peraltro decisa dai vertici e con motivazioni generiche e pretestuose, esprima insofferenza al potere politico che legittimamente esercita la funzione che gli è propria. Sono state già denunciate delle criticità della riforma, ma su questo punto specifico lascio la riflessione ad altri.

Non mi sento “attrezzata”, da notaio, ad operare una valutazione tecnico-giuridica, in settori (diritto penale e contenzioso) con i quali ho poca confidenza. Il mio approccio professionale è diretto, più che al contenzioso, a comporre e mediare e, sotto questo profilo, apprezzo soprattutto nella riforma del processo civile evidenze che valorizzano la cultura della mediazione.

 2 - Riforma Cartabia

La riforma Cartabia è molto articolata e peraltro ancora in divenire; in particolare è costituita da due provvedimenti normativi, entrati in vigore nell’autunno del 2021, la L. n. 134 del 27 settembre 2021, relativa al processo ed al sistema sanzionatorio penale e la L. 206 del 26.11.2021, per così dire “gemella” relativa al processo civile.

In particolare, la L. 134/2021 si compone di due articoli, di cui il primo contiene delega al Governo per la riforma al processo penale ed il secondo modifiche di immediata applicazione. La L. 206/2021 è costituita, invece, da un unico articolo che contiene sia la delega al Governo per la riforma del processo civile, sia la modifica di alcune disposizioni sostanziali e processuali.

Il denominatore comune delle due riforme (presente già nel titolo delle due leggi) è l’efficienza, l’obiettivo ambizioso e più volte dichiarato dalla Ministra Cartabia di rendere il processo e l’intera macchina della giustizia più rapida e snella nell’interesse dei cittadini. Sul punto, la politica esprime attenzione e sensibilità, anche perché l’obiettivo dell’efficienza, concordato con la Commissione europea, è strategico, nel senso che queste riforme sono strumentali alla fruizione dei fondi europei legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza - PNRR.

Sul piano dell’efficienza ed in particolare della durata del processo, il dato statistico non premia il nostro Paese in quanto l’Italia è risultata destinataria di un numero di condanne molto significativo e di gran lunga più elevato rispetto a paesi vicini quali Francia, Spagna e Germania. Se l’imperativo è razionalizzare e riorganizzare l’apparato, occorre smaltire un arretrato gigantesco e divenuto insostenibile, immettere ingenti risorse umane, economiche, digitalizzare uffici e percorsi.

La riforma, poi ci riavvicina al garantismo della Costituzione, perché contiene norme orientate a tutelare in modo più incisivo la dignità delle persone, dell’indagato, a proteggere il suo diritto alla riservatezza, riducendo, per esempio, la possibilità di diffondere notizie se tale circostanza non sia strettamente necessaria all’indagine. Vengono introdotte sanzioni alternative alle pene detentive brevi, viene rimodulata la prescrizione, risulta rafforzata la presunzione di innocenza, ed è prevista la non punibilità per tenuità del fatto.

In sintesi, la riforma esprime una cultura più aperta e più fluida, valorizza la vittima del reato e favorisce forme di giustizia riparativa. In presenza di tali elementi come si fa a non condividere l’impianto della riforma?

 3 - Conclusioni

Ora, e mi avvio alla conclusione, se questa operazione di ricomposizione di un contesto e di rinnovo della mentalità non riuscisse, se cioè non fossimo in grado (perché ciascuno è chiamato a fare la sua parte) di superare la logica dello scontro e ci tenessimo questo clima tossico, la prospettiva dell’efficienza, che è la finalità e l’aspirazione della riforma resterebbe vanificata.

Il danno sarebbe enorme per la collettività e per la stessa democrazia.

L’inefficienza del sistema giustizia e dei suoi apparati nuoce al Paese, lo emargina, scoraggia gli investimenti e soprattutto distrugge la fiducia del cittadino, quella fiducia di cui un sistema democratico non può fare a meno. Il cittadino si sente abbandonato, gli vengono a mancare punti di riferimento essenziali e situazioni del genere sono il contesto ideale per innescare ribellione e persino pulsioni autoritarie. 

Proprio il Presidente Violante, in un altro suo libro di qualche anno fa ci ammoniva a fare manutenzione della democrazia, che proprio perché è un prodotto dell’intelletto e della volontà dell’uomo può morire per disattenzione e incuria.

Un’ultima riflessione, questa ricostruzione coinvolge tutti, non solo la politica e la magistratura ma anche organizzazioni sociali, economiche e privati cittadini. Sarebbe erroneo ritenere che il tema riguardi gli addetti ai lavori, la funzione giustizia è di tutti e proprio per questo è bene che se ne parli. Iniziative dirette a divulgare, informare e formare il cittadino, associate a politiche sociali di cui il legislatore deve farsi carico, creano quell’ordito immaginato dai costituenti, in cui si declinano i principi costituzionali per una convivenza ordinata, con meno conflitti e meno necessità di giurisdizione.

Da notaio, voglio segnalare che, proprio qualche giorno fa, il Consiglio Nazionale e la Fondazione del Notariato hanno organizzato, a Palermo, in occasione del trentennale delle stragi di Falcone e Borsellino, una tre giorni di incontri, alla quale proprio il Presidente Violante è intervenuto con una lectio magistralis.

L’iniziativa, intitolata “La Costituzione diffusa” prevedeva più appuntamenti, tutti dedicati alla legalità, in cui il Notariato, con proprie risorse e capacità ha voluto diffondere conoscenze economiche, giuridiche, a beneficio di categorie e privati cittadini, dimostrando così di essere sul pezzo e di voler svolgere un ruolo utile alla collettività. 


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