Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


Politica e cultura...cercasi

 di Glauco Bertani.

Scriveva Gramsci:

«La filosofia della prassi presuppone tutto questo passato culturale, la Rinascita e la Riforma, la filosofia tedesca e la rivoluzione francese, il calvinismo e l'economia classica inglese, il liberalismo laico e lo storicismo che è alla base di tutta la concezione moderna della vita. La filosofia della prassi è il coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale, dialettizzato nel contrasto tra cultura popolare e alta cultura. Corrisponde al nesso Riforma protestante più rivoluzione francese: è una filosofia che è anche una politica e una politica che è anche una filosofia».

Qual è il comune sentire di oggi?  In Italia continua a persistere una fondamentale distanza tra alta e bassa cultura, cioè, gramscianamente, non si è mai dispiegata una cultura popolare-nazionale.

Come si cambiano i vecchi modi di pensare? Come elaborare una cultura popolare, ossia un movimento popolare-nazionale in cui si diffonda una cultura superiore capace di trasformare il senso comune in buon senso, cioè una riforma in senso intellettuale e morale dei ceti subalterni? Non sono problemi “superati”. Se i diritti civili non sono coniugati a quelli del lavoro e quindi a una società più giusta, in cui ai rigori dei conti pubblici non è associata l'idea di una collettività “perequata”, i problemi rimangono ancora oggi aperti, perché la sinistra, intesa come forza di cambiamento e progresso, è o appiattita sostanzialmente sul presente (avendo rinunciato alla dialettica con il passato proiettandolo nel futuro) o perché li pone in termini ideologici e speculativi, cioè sul come “dovrebbe essere” la società italiana e non su com'è in realtà, precludendosi, così, di comprenderla. Ceti subalterni, dicevo, una categoria gramsciana che potrebbe guidarci a capire “un popolo disperso” perché la coscienza di classe (la classe operaia, il movimento operaio storicamente intesi sono praticamente estinti e con essi le master narratives) è una specie di categoria dello spirito e solo sociologicamente le classi si trovano raggruppate (e questo anche oggi) per censo e quindi per condizione sociale, ma non coscientemente. In altre parole, ciò che fa la differenza è il tessuto connettivo, cioè la politica e la cultura e la coscienza individuale, trasformandosi, gramscianamente, da ape in architetto.

Le difficoltà che s'incontrano oggi a immaginare la figura di un uomo e di una donna non immersi nella corsa consumistica – intesa non in senso moralistico, ma come modello culturale/economico di vita al quale se ne potrebbe contrapporre un altro che non precluderebbe certo lo sviluppo, ma lo vorrebbe legato a precise compatibilità ambientali (natura + tempi di vita=qualità della vita) – sono sotto gli occhi di colui al quale non è «estraneo nulla di ciò che è umano». Se il problema di Gramsci era di «dare voce a quell'Italia nascosta esclusa dalla vita pubblica nazionale a causa della distanza fra cultura e vita» paradossalmente oggi vi sono problemi analoghi, acutizzati «nell'epoca della post-sfera pubblica e delle piattaforme digitali» dai processi di disintermediazione che introducono, però, «di “soppiatto” varie forme di re-intermediazione» (M. Panarari “La Stampa”, 3/9/2022). In Italia, ma è un fenomeno globale, altre correnti politico-culturali sono state capaci di intercettare un “popolo disperso”, un tempo sangue e nervi della sinistra. I media a disposizione, la televisione generalista, i social, ecc., hanno contribuito a trasformare molecolarmente “un popolo”?

La categoria “sottoproletariato televisivo” è una locuzione suggestiva per provare a comprendere quel pubblico composto essenzialmente dai ceti subalterni che alla televisione generalista si rivolge sia come fonte di intrattenimento sia come fonte di informazione. Alla quale, in questi ultimi anni, se ne è aggiunta un'altra composta dai naviganti del web e utilizzatori dei social. Categorie che si sfiorano ma, probabilmente, non si sovrappongono del tutto. Altri valori (o disvalori per qualcuno) hanno preso il sopravvento, almeno apparentemente, su quelli che dovrebbero stare a cuore alla sinistra, che dovrebbe saper ascoltare empaticamente e dare risposte senza sentenziare. Le risposte ai problemi materiali devono pulsare di vita (e, perché no?, di sogni): parlano a persone vive. Fatto sta che sono venute a mancare quelle che una volta si chiamavano "controculture" o, meglio, le culture critiche hanno perso forza e credibilità. Non hanno saputo rinnovarsi e la politica si è incarnata nell'antipolitica che è poi politica sotto altre forme.

Che cosa voglio dire? I media non compiono operazioni taumaturgiche, ma operano in modo tale da poter prescindere in parte dai contenuti. Tradotto in politica significa che «una persuasione popolare ha spesso la stessa energia di una forza materiale o qualcosa di simile», scrive Gramsci parafrasando Marx.

Oggi, anche nei territori con una storia a forte tradizione socialista/comunista è finito il lungo dopoguerra, e solo uno zoccolo duro continua ad avere un legame con quella tradizione. La prospettiva, quindi, qual è? Si ritorna ai contenuti e alla trasformazione della mentalità, unica condizione, come dicevo, per sentirsi parte di una “classe”, di non essere più “un popolo disperso”. Ci vorrebbe, allora, una “battaglia delle idee” di togliattiana memoria o, ancor prima, scavando ancor di più nella storia, potremmo andare a ripescare una rubrica dell'“Ordine Nuovo” di Gramsci, che aveva lo stesso titolo? La tentazione di rispondere “sì” è forte. Ma subito l'entusiasmo di spegne. Quali idee e come renderle concrete, ma soprattutto credibili? Il welfare state, prova generale di intere generazioni di sinistra (e non solo), è, per quelle nuove, in coma profondo e non più competitivo con le magnifiche e progressive sorti del capitale, quindi per quale motivo, al di là di principi sacrosanti e monumentalizzati, si dovrebbe votare per la sinistra?

Non basta dire: "Se ne accorgeranno!", perché siamo tutti coinvolti. O si ha la capacità, ovvero idee e fantasia, di introdurre creativamente una filosofia che è una politica con una morale conforme o altrimenti i “sapori” della sinistra si annacqueranno a tal punto da diventare indistinti, come sta accadendo, facendoci solo portatori di una “cultura” pifferaia e inconcludente.

«[Gramsci] – scriveva il critico letterario Giacomo Debenedetti – è un “uomo classico” proprio per il suo sforzo di far collaborare a ogni minuto umano tutto quanto l'uomo, con una specie di imparzialità verso i moti, le iniziative, le ragioni che convivono con noi, [che] costituiscono le “molecole” della nostra psicologia e del nostro destino. Gramsci, coerentemente a quanto detto, trasferisce la medesima ispirazione che possiede sul piano intimo e personale nella vita pubblica che egli chiama “politica d'unità”. [...] L'uomo privato delle Lettere dal carcere lotta contro il massimalismo morale con la stessa energia con cui l'uomo pubblico lottò contro il massimalismo politico».

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