Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


Il fascismo negli anni Venti del XXI secolo


«Non credo – scrive Emilio Gentile in Chi è fascista (2019)– che abbia alcun senso, né storico né politico, sostenere che oggi c’è un ritorno del fascismo in Italia, in Europa o nel resto del mondo». È fuorviante usare la pratica dell’analogia ossia far prevalere «la tendenza a sostituire alla storiografia una sorta di “astoriologia” – prosegue lo storico – dove il passato storico viene continuamente adattato ai desideri, alla speranze, alle paure attuali».

Si dovrebbe finirla di dare del fascista “a cuor leggero” a quei partiti che seppur lontani dall'idea liberale/democratica della società e portatori di democrazie autoritarie (democrature o eufemisticamente dette anche “democrazie a bassa intensità”) non sono la “reincarnazione” del fascismo storico andato al potere nell'ottobre del 1922 e defunto il 25 aprile 1945. È certamente vero che al loro interno ci sono personaggi con un forte desiderio di parentela col ventennio fascista. Ma non facciamoci accecare.

Più ci si allontana da un evento storico più la memoria collettiva di quell’evento tende a sbiadire e sfilacciarsi, scompaiono coloro che ne hanno avuto un ricordo diretto e che l'hanno trasmesso alla generazione successiva e toccato o sfiorato quella dopo ancora. E il quesito che assilla il sempre più esiguo drappello dei testimoni-protagonisti di quella stagione e frange più o meno numerose presenti nella cultura e nella sinistra è come coinvolgere le nuove generazioni sul binomio antitetico fascismo-antifascismo. 

Senza voler far lezioni di storia in pillole, questa legge generale per quello che riguarda l'antifascismo si è aggravata «a causa di una particolare svolta epocale: la svolta del 1989 [con la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell'Urss e delle democrazie popolari dell'est Europa]. Perché è vero che in Italia come in Europa, non vi è stato antifascismo senza il contributo decisivo del comunismo» (S. Luzzatto, 2004). E la cultura dell’antifascismo si è trovata mancante di una sua fondamentale parte costitutiva, lasciando il fianco scoperto agli attacchi più disparati e faziosi. 

Dopo questa sintetica puntualizzazione, ancora oggi in vista delle elezioni del 25 settembre, nonostante le dure lezioni che la sinistra (o meglio il fronte progressista) ha subito in diverse elezioni politiche passate agitando lo spettro del '22 ed evocando l'antifascismo per battere le destre, allora, forse, ha ragione Giovanni Orsina quando scrive: «E se alla fine la coalizione di destra vincerà le elezioni ... l'antifascismo “largo” si sarà dimostrato ancora una volta lo strumento politico di una parte minoritaria che non sa più parlare altrimenti agli elettori». (“La Stampa”, 18 agosto 2022). E sarebbe una curiosa coincidenza proprio con l'anno del centenario della marcia fascista su Roma. Emilio Gentile afferma, nel libro citato, che la tesi di Umberto Eco sul «fascismo eterno» potrebbe «indebolire lo stesso antifascismo» favorendo la «fascinazione del fascismo sui giovani che poco nulla o sanno del fascismo storico”. Si pensi, ad esempio, a quanto autocompiacimento ci sia su quei giovani neofascisti che si definiscono «fascisti del terzo millennio».

Avendo presente queste criticità, non si tratta, ovviamente, di sminuire i pericoli, che sinteticamente raggruppo nel termine di populismo, che corrono non solo l'Europa, noi compresi, ma pure gli Stati Uniti. Si diffondono politiche e culture che riducono tutto a lotta del Bene contro il Male, a scontro di civiltà. Questo “virus” si è manifestato nell’11 settembre 2001, nella vittoria di Bush figlio, nella parentesi Obama, e nella figura emblematica di Trump e del suo tentativo di colpo di Stato del 6 gennaio 2020, i cui effetti non sono ancora ben definiti. E in questo 2022, si è aggiunta la guerra scatenata dalla Russia invadendo l’Ucraina, messaggio chiaro di come dovrebbero essere intese le relazioni internazionali. Un'azione che sta ridisegnando geopoliticamente il mondo dopo il sostanziale dominio occidentale seguito al dissolvimento dell'URSS. Tutto sembra spingere sempre più a una lotta fra civiltà (nel gioco c'è la Cina con Taiwan nella testa) la cui prima vittima culturale (e qui tralasciamo di parlare di tutto il sangue di decine di migliaia di persone che scorre in ogni angolo del pianeta) è l’Illuminismo europeo, il movimento d’idee, filosofico, politico che è alla base dell’idea stessa di Europa moderna, civile e tollerante. Però… litigare sulle radici della Repubblica italiana non è una zuffa fra comari o fra ragazzi che si contendono un pezzo di cortile, ma è qualcosa di molto più pregnante che investe un cortile di 301.224 kmq regolati da una Carta costituzionale che ha le fondamenta nell’antifascismo ciellenistico, quello che ha combattuto il nazifascismo. La crisi dell’antifascismo causata dall’«effetto congiunto di un’ineludibile condizione di senilità e di un grave deficit di credibilità» (S. Luzzatto, 2004), ha portato con sé anche la crisi del sistema valoriale in essa contenuto, aggredito dal fattore “P” (populistico). L'occasione di difendere concretamente la Costituzione antifascista, ridandole una nuova spinta nei suoi valori fondamentali, il blocco progressista l'ha persa nel referendum del 2016, che se ne cambiava la seconda parte (l’ordinamento della Repubblica), manteneva invece integra quella parte che affonda le radici nella sua natura democratica e antifascista. Ma coi “se” non si va da nessuna parte... 

Oggi le condizioni politiche e culturali sembrano esserci tutte per costruire una democrazia populistica, – seppur, forse, vincolata in una certa misura, ai parametri europei in campo economico (il PNRR) – basata sul potere dell’esecutivo a scapito di quello legislativo. 

Il PD, il mio partito, e non solo, ad esempio, avendo approvato la riduzione dei numero dei parlamentari senza una congrua legge elettorale che rimettesse al centro la rappresentanza e riconsegnasse le scelte dei parlamentari ai territori, è stato di incauto aiuto alle forze populiste dell'antipolitica (che è poi politica sotto altre forme) e alla destra autoritaria. Credo che la sincerità possa aiutare, ammettendo gli errori. Gli elettori apprezzerebbero.

La forza della destra italiana (e non solo) sta nel semplificare e spesso volgarizzare tutto, parlando direttamente alla pancia dell'elettorato su questioni spesso non inventate, ma distorte e allo stesso tempo rese verosimili.

«Entro un simile scenario, e mentre la fragilità della democrazia appare evidente persino tra le mura del suo tempio americano, come non riconoscere che quanto noi italiani intendiamo per antifascismo minaccia di riuscire un patrimonio di cose non solo desuete, ma anche periferiche, marginali?» (S. Luzzatto, 2004). E torniamo così alle parole di Orsina sopra riportate.

La sinistra, le forze progressiste allora, dovrebbe parlare di fascismo e antifascismo senza evocarli direttamente, ma aggiornati a temi quali i diritti civili coniugati a quelli del lavoro e quindi a una società più giusta in cui ai rigori dei conti pubblici andrebbe associata l'idea di una collettività “perequata”. Altrimenti parliamo di un eterno presente immodificabile prigioniero di sé stesso.

Temi che sappiamo non possono essere ristrettì ai soli confini nazionali, ma che devono avere il respiro ampio almeno quanto un’Europa diversa dalla semplice somma degli Stati che la compongono.


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