di Glauco Bertani.
Mi sento, dopo la vittoria di Elly Schlein alla primarie del
PD, un po' come quei vecchi socialisti prampoliniani di fronte all'esuberanza radicale
dei comunisti rivoluzionari. Allora parlavano di fare la rivoluzione come in
Russia, oggi, morto il comunismo, la sinistra, in particolare la neosegretaria
del PD, parla, fra le tante cose da fare, di “intersezionalità”.
Seguiamone le tracce. Il concetto di “intersezionalità” è
stato introdotto dalla giurista femminista afroamericana Kimberlé Crenshaw, che
con esso, nel 1989, intendeva definire il «principio della molteplicità e
simultaneità dei sistemi di oppressione nei confronti delle donne nere» (Barbara
Mapelli, 2018). In altre parole «non si può comprendere l'oppressione e la
discriminazione delle donne nere considerando solo il genere o solo la razza:
le due categorie si intrecciano, anche nel fare ricerche legali o analisi», (Jeff
Hearn, 2017).
Un concetto – “intersezionalità” – entrato solo di recente,
mi pare, nel discorso politico del nostro Paese, che potrebbe rivelarsi – come
afferma Barbara Mapelli – uno strumento politico e sociale «in grado di
intercettare la molteplicità e la simultaneità delle diverse modalità di
formazione delle soggettività [ad es. le comunità Lgbtq+, NdR] contemporanee e
delle forme di potere che possono agire come oppressive e discriminatorie». Da
qui poi il termine “intersezionalità” è stato via via arricchito da studiosi,
come Helma Lutz, con «elaborati schemi multidimensionali che includono più
“livelli di differenza” quali genere, sessualità, razza/colore della pelle,
etnia, nazione/stato, classe, cultura, capacità, età, sedentarietà/origine,
ricchezza, Nord/Sud, religione, fase dello sviluppo sociale. L'elenco è
potenzialmente sconfinato», (Hearn, 2017).
Tuttavia non si possono paracadutare esperienze altre in
realtà ancora profondamente diverse, quali possono essere gli Stati Uniti o, più
in generale, il mondo anglosassone rispetto alla situazione italiana.
Occorrerebbe come minimo «un ripensamento e [un] adattamento, teorico e
pratico, alla situazione del nostro paese» (Mapelli, 2018). Filosofia della
praxis.
Lo scrittore Alberto Prunetti, anche se mosso da un
eccessivo radicalismo, potrebbe aiutarci a chiarire uno dei “livelli di
differenza” a cui si è fatto cenno sopra, ossia sulla questione delle
differenze di classe. Le considerazioni dell'autore toscano esposte in Non è un pranzo di gala. Indagine sulla
letteratura working class (Minimum fax, 2022) hanno come focus il
romanzo pubblicato da scrittori di provenienza
“proletaria”, capaci di descrivere non artatamente la condizioni di vita
della working class (binomio che ha un significato più ampio di quello
di classe operaia) sotto aspetti diversi e non solo quello strettamente
lavorativo.
I diritti civili, tuttavia, devono essere coniugati a quelli
del lavoro, per una società più giusta, in cui ai rigori dei conti pubblici è
associata l'idea di una collettività “perequata”, dove non c'è spazio per
privilegi di casta, di lobbies più o meno potenti, allora il rischio, se non la
certezza, è che rimangano confinati a ristrette élite di «liberal bianchi».
Devono, in altre parole, diventare parte integrante di una visione del mondo (Weltanschauung),
diversa da quella attuale, che abbia in sé anche l'obiettivo di superare le
diseguaglianze, economiche, civili, sociali e culturali. Qui sta il nodo della
“intersezionalità”: della sua capacità, cioè, di andare oltre rivendicazioni
meramente identitarie, che non escono o che faticano a uscire dal gruppo a cui
fanno riferimento e diventare un efficace strumento che da teoria si fa prassi
e diventi anche senso comune o buon senso. «Kant – scrive Antonio Gramsci – ci
teneva a che le sue teorie filosofiche fossero d'accordo col senso comune»,
(Quaderno 3, 1975).
Per comprendere la nuova working class, molto interessante
è l'indagine svolta dalla Società Italiana di Scienza Politica sulle primarie
del PD, in base ai dati raccolti ai seggi nell’ambito della ricerca coordinata
da Candidate and Leader Selection e pubblicata su questo stesso blog. Nella parte dedicata ai livelli di studio
dei votanti, si legge:
«Si noti, inoltre, che i partecipanti alle primarie del PD
nel 2023 risultano assai simili all’elettorato del partito nelle ultime elezioni
dal punto di vista dell’istruzione; stando ai dati del Centro Italiano Studi
Elettorali, il principale sostegno al PD arrivava proprio dai gruppi più
istruiti della popolazione [...] Rimane, infine, altamente visibile la difficoltà
del PD di coinvolgere elettori con titoli di studio più bassi, tradizionalmente
meno propensi a partecipare». Un dato che coincide con lo studio svolto
dall'Istituto Cattaneo sui flussi elettorali all'indomani delle elezioni politiche
del settembre scorso.
Qui mi permetto una digressione, citando Pierre Bourdieu, il quale, in Critica sociale del gusto (1979), declina il Capitale di Marx non alla sola legge del plusvalore e del patrimonio ma «ciò che definisce la posizione degli agenti – secondo lo studioso francese – sono il capitale culturale e il capitale sociale [...] Sono questi a strutturare i rapporti gerarchici che percorrono lo spazio sociale, costituendo soggetti dominati e soggetti dominanti; sono questi a riprodursi e a mantenersi nel tempo, e a presiedere alle scelte di ciascuno e ai consumi culturali. Consumi che non sono solo cosa si legge e si ascolta, ma cosa si mangia, come ci si veste o quale sport si pratica: scelte estetiche e culturali che trovano una ragione nella posizione dell'individuo all'interno della società e in quello che Bourdieu definisce l'habitus di ognuno». Un'analisi che un partito politico come il PD non credo possa ignorare, perché la definizione, di “partito ZTL” (sono le zone a traffico limitato delle città) fotografa bene l'ambito in cui esso fa presa. Per questo essa va “attenzionata” seriamente, proprio a partire dalle ragioni socio-antropologiche e culturali emerse da quelle rilevazioni.
Ripartiamo dal termine intersezionalità riferito alla
questione di genere e orientamento sessuale. Lo facciamo utilizzando il
sondaggio che Ipsos ha svolto in occasione del Pride 2022, condotto in 27 Paesi
tra oltre 19.000 persone e che «ha analizzato diversi aspetti come il grado di
coinvolgimento e supporto alla comunità Lgbt+, le opinioni relative al diritto
di sposarsi e di adozione per le coppie gay» e chiedendo, inoltre, le «opinioni
sull'uguaglianza e visibilità delle persone Lgbt+». Dal sondaggio – in cui non è
specificata la condizione sociale, il livello di istruzione, il tipo di lavoro,
l'età e il sesso degli intervistati – è emersa, per limitarci all'Italia, in questi
ultimi anni, una tendenza positiva verso la comunità Lgbtq+. Se spostiamo, però,
il tema in ambito politico, e il Parlamento ne è stato un inequivocabile
testimone, viene da chiedersi se la società sia più avanti della politica. Può
darsi, esempi in passato ci sono stati, tuttavia il dubbio è che queste giuste
rivendicazioni non siano ancora traghettate nel “senso comune” e siano ancora
esiguo “patrimonio” degli strati sociali più acculturati. Spetta quindi ai
partiti, e al PD in particolare, inserire queste tematiche in una prospettiva di
una società più equa, trasformando queste “originalità” in senso comune.
Chiudo citando il Gramsci dei Quaderni ancora a
proposito del senso comune. Le note di Gramsci si riferivano ad alcune riviste
italiane, e non solo, uscite dal Settecento ai primi decenni del secolo scorso,
ma credo stimolanti anche lette per una possibile pratica politica.
«Il tipo generale [di riviste letterarie, NdR] si può dire
appartenga alla sfera del “senso comune” o “buon senso”, perché il suo fine è
di modificare l'opinione media di una certa società, criticando, suggerendo,
sbeffeggiando, correggendo, svecchiando e, in definitiva, introducendo “nuovi luoghi
comuni”. Se ben scritto, con brio, con un certo senso di distacco (in modo
da non assumere toni da predicatore, corsivo mio), ma tuttavia con
interesse cordiale per l'opinione media, le riviste di questo tipo possono
avere grande diffusione ed esercitare un influsso profondo. Non devono avere
nessuna “mutria” [Faccia accigliata, chiusa a ogni moto di simpatia, per
malumore o per alterigia], né scientifica né moralisteggiante, non devono
essere “filistee” e accademiche, né apparire fanatiche o soverchiamente
partigiane: debbono porsi nel campo stesso del “senso comune”, distaccandosene
quel tanto che permette il sorriso canzonatorio, ma non il disprezzo o di altezzosa
superiorità» [Q. pp 2270-71].
Ecco, qui qualcosa da imparare c'è.
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