Intervista con Elena Montecchi (a cura di Glauco Bertani).
Elena,
perché questa guerra?
L’aggressione all’Ucraina fa parte di una
strategia adottata da Putin da circa venti anni per affermare, all’interno del
proprio Paese, la visione di una nazione che reagisce al proprio
ridimensionamento internazionale avvenuto dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Pur in presenza di un’economia debole, Putin ha
rilanciato il mito della nazione “imperiale” che tutela e difende il popolo di
lingua russa, e ha contestualmente inaugurato una stagione di politica estera
molto aggressiva nei confronti delle democrazie europee e americana. La guerra
‘ibrida”, ad esempio, è stata praticata con determinazione dai russi che hanno
finanziato, particolarmente durante gli anni della grande crisi economica
globale, partiti e personalità politiche occidentali, riviste on-line e
associazioni “amiche”. Questo è accaduto anche in Italia.
La manipolazione e il condizionamento delle
opinioni pubbliche hanno avuto molti degli esiti auspicati perché nell’Unione
Europea e tra diversi Paesi candidati all’ingresso nell’Unione le forze
politiche che sostengono di fatto Putin hanno ampliato il loro consenso
elettorale.
Ad esempio, in Ungheria e in Serbia sono stati
riconfermati al governo dei partiti e degli uomini filorussi (elezioni
politiche e presidenziali del 3 aprile scorso). In tutta l’area dei Balcani ci
sono forti partiti sbrigativamente definiti “amici di Putin” i cui obiettivi
programmatici sono improntati al nazionalismo e a modelli di governo autoritari
e limitativi delle libertà personali. I legami tra la Russia e queste aree
geografiche sono molto solidi e le interferenze russe all’interno di quei Paesi
sono evidenti.
Pochi giorni fa il ministro degli Esteri Lavrov ha incontrato la stampa serba con l’esplicito intento di condizionare la campagna elettorale che si stava svolgendo in Serbia. La strategia internazionale russa è molto complessa e mira a configurare una sorta di alternativa, anche sul piano dei valori e delle libertà, al cosiddetto Occidente e alla globalizzazione intesa in senso ampio.
Nel mondo globale si sta giocando una
competizione tra Stati Uniti e Cina e l’Europa non è ancora un’area
politico-sociale guidata da intenti unitari. I russi puntano a indurre una
contrapposizione tra i Paesi “globali” e quelli che sono, o che si sentono,
meno tutelati o ai margini di questi processi.
A mio avviso è molto importante che si discuta di quanto sta accadendo e che l’Unione Europea e i Paesi membri siano all’altezza di questa sfida politica, economico-sociale e culturale. Una risposta democratica alle ingiustizie prodotte dal mercato globale selvaggio è urgente e indispensabile. La guerra di invasione in Ucraina è quindi il frutto di una ideologia e di un modo concreto di procedere sia nello scacchiere internazionale, sia nella riaffermazione del potere di Putin sui “piccoli russi”, gli ucraini, considerati come parte ininfluente della grande Russia “Bianca” (Russia, Bielorussia e Ucraina).
La guerra è stata poi giustificata da una ricostruzione bugiarda della storia plurisecolare dell’Est europeo e da presunte minacce alla sicurezza dei confini russi. Anche sul ruolo della NATO si sono dette molte bugie e sarebbe bene fare chiarezza, anche a casa nostra, su cosa è la NATO, sulle ragioni per cui molti Paesi appartenenti al blocco dell’Est hanno pressantemente richiesto il loro ingresso nell’Alleanza e sul fatto che l’accoglienza dell’Ucraina nel Patto difensivo non è mai stata posta all’ordine del giorno.
Come possiamo venirne fuori?
Le immagini dei cadaveri di cittadini inermi abbandonati lungo le strade di Bucha sono devastanti. Chi ha commesso questi crimini dovrebbe risponderne penalmente di fronte ad un tribunale internazionale. Auguriamoci che al più presto cessi l’orrore della guerra con il suo carico di morte, di sofferenza e di distruzione. Però temo che il processo non sarà brevissimo. Probabilmente nell’immediato non ci sarà una soluzione definitiva, forse ci si incamminerà verso la “sospensione” della guerra che consenta una trattativa e una mediazione.
L’Ucraina potrebbe essere una nazione modellata
sui principi di neutralità simili a quelli della Finlandia, ma sul futuro del
Donbass e della Crimea è arduo ipotizzare una prospettiva ragionevole.
Ci sono modelli di felice convivenza
multilinguistica come quello disegnato dal Trattato Italia- Austria per il
Trentino-Alto Adige e ci sono altre esperienze assai più complicate. È il caso
della Repubblica della Bosnia-Erzegovina. Resta il fatto che il progressivo
ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e la sua ricostruzione economica e
sociale saranno un grande banco di prova per noi europei. Se crediamo per
davvero alla costruzione di un mondo pacifico e multipolare, l’Ucraina è e sarà
la questione che rimodellerà tutte le relazioni internazionali.
A mio avviso è molto importante essere
consapevoli del fatto che le sfide politiche sono molto ardue e che oggi, di
fronte alle violenze orribili che vediamo ogni giorno, non possiamo più volgere
lo sguardo altrove, come accadde nel 2014, quando l’annessione della Crimea
alla Russia e la guerra nel Donbass non suscitarono reazioni apprezzabili.
Perché l’Occidente - per semplificare - ha reagito diversamente rispetto ad altre guerre? Nel mondo, accusano i critici, ci sono 170 conflitti, se non sbaglio, lasciati nel dimenticatoio (es quello in Yemen). Poi ricordano i bombardamenti Nato di Belgrado, l’Iraq, la Libia, la Siria, l’Afghanistan...
La presenza delle democrazie occidentali negli
scenari di guerra dei Paesi che hai elencato è stata diversa. Alcuni Paesi europei
non intervennero in Iraq perché i presupposti per quella guerra erano stati
costruiti sulla base di informazioni false fornite all’ONU dagli Stati Uniti e
sostenute anche dai britannici. La questione della Serbia e del Kosovo, invece,
fu affrontata all’ONU con una significativa unità tra gli Stati Unititi e i
Paesi europei. La NATO intervenne militarmente dopo i pronunciamenti dell’ONU.
Non va mai dimenticato che i serbi fecero fallire le trattative di
pacificazione di Rambouillet e iniziarono la pulizia etnica dei cittadini
kossovari della minoranza albanese. Fu un dramma umanitario di proporzioni
gigantesche che rievocava la tragedia delle stragi e dei crimini di guerra,
compresi gli stupri di massa, in Bosnia. Allora i caschi blu dell’ONU non fecero
quasi nulla per evitare quei massacri. Molti conflitti, tra i 170 che hai
citato, sono a “bassa intensità”, ovvero sono scontri interni limitati, quasi
sempre motivati da conflitti di carattere etnico e religioso. Sono comunque
gravissimi perché mietono migliaia di vittime, in quasi tutti i casi l’ONU
coordina la presenza di forze di interposizione e i militari dei vari Paesi,
compreso il nostro, cercano di svolgere una funzione di pace. Io non credo che
il cosiddetto Occidente possa o debba svolgere la funzione del gendarme del
mondo. Il tema riguarda, a mio parere, il contributo concreto che le democrazie
possono e devono dare per risolvere in via politico-diplomatica quei conflitti.
Ma le strade della mediazione non sono semplici perché i fondamentalismi
tribali e religiosi sono diventati sempre di più un elemento costitutivo delle
guerre; sulla scena mondiale da almeno venti anni è comparso un potente
protagonista dei conflitti armati: il terrorismo islamico che controlla
militarmente alcune zone dell’Africa e dell’Asia. Perciò le vie diplomatiche
sono ardue, perché le democrazie non possono riconoscere l’ISIS o i
guerriglieri islamici africani ma, al tempo stesso, devono individuare dei
percorsi che limitino le sofferenze delle popolazioni civili.
Non esistono, dunque, delle guerre di serie A o
di serie B, però la guerra di Putin ha assunto una rilevanza mondiale.
Non a caso le risoluzioni di condanna dell’ONU sono state approvate da una maggioranza molto ampia, mai registrata fino ad oggi! e che va ben oltre i Paesi Occidentali. A mio avviso queste reazioni sono state determinate anche dal fatto che la guerra “ibrida” di Putin ha messo in gioco questioni essenziali per un numero elevatissimo di Paesi.
Ti elenco per punti gli aspetti che a mio avviso
sono cruciali, e non riguardano solo l’Europa:
1) il rifiuto radicale dell’intervento militare come strumento di modifica dei confini statuali;
2) a necessità di fornire
una risposta che impedisca, con le sanzioni e con tutti i tentativi di dialogo
e di mediazione possibili (Turchia, Israele, leader europei), l’escalation
militare o la minaccia nucleare;
3) il sostegno alla resistenza del popolo ucraino che ha il diritto di difendersi, anche con le armi, di fronte ad un aggressore. Ed è bene ricordare che questo sostegno attivo è stato condiviso da molti Paesi neutrali: Svizzera, Finlandia, Svezia. L’invio delle armi e di mezzi militari ad un popolo che resiste contro un aggressore non va mai affrontato a cuor leggero. Di questo si è discusso molto nel nostro Paese. Io penso che sia giusto farlo, e abbiamo il dovere di discuterne con serietà, abbandonando ogni tentazione di facile propaganda. Io non ho l’elmetto in testa, quando in Parlamento ho dovuto votare per l’invio all’estero di contingenti militari ho avvertito tutto il peso e la responsabilità costituzionale, politica e umana del mio voto. In questi giorni ho letto e riletto molti testi che ritenevo utili per rispondere ai miei interrogativi. La discussione dei Costituenti sulla stesura dell’articolo 11 della Costituzione, il relatore fu Giuseppe Dossetti; l’intervista di Enrico Berlinguer (1976), nella quale sostenne di sentirsi protetto “sotto l’ombrello della Nato” e la ristampa del libro di Emmanuel Mounier “I cristiani e la pace”. Queste letture mi hanno offerto nuovi spunti di riflessione a proposito delle azioni necessarie per costruire e mantenere la pace, comprese quelle che riguardano, in ultima istanza, gli investimenti militari a scopo di difesa;
4) la riaffermazione di una
esigenza emersa agli albori della storia dell’Unione: la difesa comune europea.
In questo quadro di difesa comune deve essere inserita anche la questione
dell’aumento progressivo delle nostre spese militari che, secondo me, merita un
approfondimento nel merito degli investimenti che si faranno. Personalmente
penso ad investimenti che devono essere indirizzati verso l’obiettivo della
difesa comune europea: la cyber-sicurezza, le tecnologie, l’intelligence e
l’incremento delle competenze professionali del nostro esercito nell’ottica
della cooperazione;
5) l’inedita consapevolezza
della dipendenza energetica di diversi Paesi europei nei confronti della
Russia. Anche in questo caso sarà bene che nel PD, e nel Paese, si ragioni
razionalmente sul fatto che le questioni energetiche sono un fattore di
sicurezza nazionale e dovremo porci al più presto anche il problema di
individuare dei piani energetici che, compatibilmente con il rispetto
ambientale, possano garantirci ampi margini di autonomia.
6) L’aggressione di Putin
all’Ucraina è stata percepita dall’opinione pubblica come un’aggressione
strategica all’Europa dell’Unione e a quella geografica.
Si sono mobilitati milioni di cittadini dalla Georgia all’Islanda, tutti accomunati dalla condanna nei confronti di un aggressore e dallo spirito di solidarietà verso un popolo aggredito. Tutti abbiamo avvertito i rischi che corrono le democrazie di fronte ad un attore istituzionale non democratico che, a proprio piacimento, può minacciare perfino il ricorso al nucleare.
Nessuna democrazia potrebbe farlo, perché, anche
in caso di guerra, ci sono i pesi e i contrappesi costituzionali e
istituzionali che limitano i poteri dei governi o, peggio, di un uomo solo al comando.
La guerra di Putin ha imposto all’Europa un salto di qualità nella cooperazione tra i Paesi. Questo è un patrimonio da preservare e da sviluppare perché i difetti e i limiti dell’Unione sono evidenti a tutti.
Il ruolo della Cina?Penso che il confronto/scontro tra gli Stati
Uniti e la Cina condizionerà non poco il nostro futuro. È in atto una
competizione commerciale, economica e culturale che la Cina vorrebbe vincere
nei tempi lunghi. La Cina aveva avviato questo processo in modo “pacifico” sul
piano militare e molto aggressivo su quello commerciale. Il “modello Ucraina” non
è condiviso dai cinesi. Però ha ragione Ursula van Der Leyen a chiedere alla
Cina di uscire dallo schema dell’ambiguità, dell’equidistanza e di schierarsi a
favore del diritto internazionale e della pace. Per ora la Cina resta un Paese
spettatore della guerra che, ogni tanto, strizza l’occhio alla Russia.
Sono andato a rileggermi un saggio di Tim Marshall “Le dieci mappe che spiegano il mondo”, del 2015, in particolare i capitoli Russia ed Europa. Con le diverse guerre che la Russia ha scatenato contro quei Paesi che nel secolo scorso facevano parte dell’URSS, be’ sembrava mancasse solo l’Ucraina...
Conosciamo pochissimo gli eventi, compresi quelli
bellici, che si sono sviluppati nelle ex Repubbliche sovietiche e il ruolo che
Eltsin e poi Putin hanno avuto e hanno in quelle aree.
Questo limite di conoscenza ci impedisce di
cogliere appieno anche la portata dell’invasione dell’Ucraina. L’ideologia
putiniana del recupero della funzione di una grande Russia che fonda le sue
radici nella storia dell’Eurasia, nel conservatorismo dei valori della Chiesa
Ortodossa e nella costruzione di una memoria identitaria collettiva del popolo
russo basata sull’invenzione di una tradizione è un terreno sul quale anche noi
europei dovremo cimentarci.
Il sovranismo che alberga in molte forze
politiche della destra europea e l’antieuropeismo di raggruppamenti
dell’estremo sinistra trovano dei punti di incontro nei tratti antidemocratici
e illiberali del pensiero di Putin e dei suoi ispiratori. Le motivazioni per
l’invasione dell’Ucraina, che Putin ha rappresentato al mondo sono ideologiche
e, come ho già detto, sono guidate da logiche di potere interno. Ha investito
ingentissime quantità di danaro sulle guerre e ha consentito la rapina di
miliardi di dollari, rubati dai suoi uomini al popolo russo.
La Russia ha un prodotto interno lordo basso, i
salari e gli stipendi sono altrettanto bassi, il ritardo tecnologico del Paese
è evidente e da anni il Parlamento e il Governo approvano delle leggi e firmano
dei decreti che limitano sempre di più le libertà personali e l’agibilità di
ogni forma di organizzazione civile. Anziché puntare ad una progressiva
crescita democratica ed economica del Paese, Putin ha scelto una strada che,
oggi, è molto pericolosa per tutti noi.
Ma per lui, e per il suo sistema, questa strada è in salita ed è aperta a esiti che non aveva previsto. Noi dobbiamo lavorare perché tali esiti, contro le sue aspettative, siano quelli della pace, rafforzamento dell’unità europea e della democrazia.
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