Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


Voglio bene al PD, quindi? /2 Considerazioni su legge elettorale, elezioni e partito


1 – LA LEGGE ELETTORALE

La legge elettorale, il Rosatellum, l’abbiamo scritta noi. E nonostante ne conoscessimo il meccanismo perverso, penalizzante per i partiti non coalizzati - con voto unanime della Direzione, dopo che il M5S, fece cadere il governo Draghi – abbiamo abbandonato ogni tentativo di dialogo con il partito di Conte. 

I limiti dei 5S sono evidenti a tutti, ma andare a vedere le carte dei 5S, proprio in considerazione della legge elettorale, era una tentativo che avremmo dovuto fare. Poi, abbiamo giocato la carta Calenda, ci siamo scottati, abbiamo rimediato una coalizione spostata a sinistra, perdente nello stesso momento in cui è stata sottoscritta. Giusto guardare anche a sinistra, ma non possiamo pensare che qualcun altro faccia ciò che avrebbe dovuto e dovrebbe fare la nostra politica. Parlare ai lavoratori, al mondo del lavoro nel suo complesso e all’ambientalismo. Vedere concretamente che esiste la povertà. Siamo stati per dirla con un eufemismo, troppo timidi su questi temi. 

Un conto è, poi, parlare dei giovani, un altro è parlare ai giovani (ci ha scelto il 16% circa, se non sbaglio, dietro a FdI e M5S). 

Ci siamo persi nella richiesta del voto utile, nel pericolo fascista incombente, nel seguire l’agenda Draghi che, per una parte era anche nostra, ma è stato sbagliato assumerla in toto perché figlia di una coalizione, quindi prodotto di compromessi politici. Apro una parentesi. Letta in conferenza stampa dopo l’esito elettorale ha detto che il vento rispetto al governo Draghi era cambiato dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Mi chiedo allora perché non abbiamo agito di conseguenza caratterizzando maggiormente la politica del partito.

Per tornare nel seminato, prima della caduta del governo Draghi, l’esclusione a priori di ogni dialogo con Italia Viva, secondo me è stato più il frutto di rancori personali che di un solido e pragmatico ragionamento politico. Non era detto che andasse a buon fine, ma giocare su più tavoli era l’occasione per poter far comprendere che la legge elettorale poteva costringere a stare insieme forze con almeno qualche elemento comune. 

Calenda, abbandonato l’accordo sottoscritto con noi, si è alleato con Renzi. Il risultato è stata l’erosione del nostro elettorato. Abbiamo perso circa 800.000 voto rispetto al 2018. Inoltre non indicando neppure il nostro candidato alla Presidenza del Consiglio è stato una chiara manifestazione di debolezza o di incertezza.

2 – IL RISULTATO DELLE ELEZIONI

Si dice: «Non siamo riusciti a cambiarla, la legge elettorale», ma io non ci ho visto tanta convinzione in questo desiderio. Anzi è una mera foglia di fico per non ammettere che, in fondo, una simile legge elettorale non dispiace, perché permette alla direzione/correnti di controllare il partito. E qui si dovrebbe entrare nel merito della formazione delle nostra classe dirigente spesso cambiata con un semplice giro di valzer. La stessa che dopo ogni batosta invita alla riflessione, di guardare ai programmi e non ai nomi mentre sta sempre lì. Cambiano solo i segretari. Sarebbe necessario ripensare a come sono organizzati i congressi che, mi pare, siano la semplice contrapposizioni di tesi correntizie cristallizzate o forse dovrei dire sclerotizzate.. chiusa parentesi.

La campagna elettorale, secondo me, non dovevamo impostarla contro “qualcuno” (rosso/nero; fascismo/antifascismo; buoni/cattivi; noi/loro ecc., anche se, secondo l’Istituto Cattaneo, nelle zone di tradizione “rossa” è stato forse un motivo di richiamo in più per il PD), ma piuttosto essere l'occasione per costruire un'immagine concreta di un partito in grado di parlare e di farsi carico della grave situazione sociale dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Ci siamo sempre rivolti soprattutto ai ceti medio-alti (i flussi elettorali sono chiari), che sono quelli che oggi costituiscono buona parte del nostro corpo elettorale, tra l’altro sempre più vecchio. La questione “lavoro” ha fatto solo timidamente capolino in qualche tweet del segretario, ma non è diventata, insieme all'ambiente, alla sanità pubblica, all’immigrazione (sicurezza coniugata alla solidarietà e alle sue potenzialità) tema centrale della nostra campagna elettorale. Che lo vogliamo o no siamo percepiti per quello forse realmente siamo diventati: il partito dell'establishment. Non un partito – salvo qualche eccezione, vedi Reggio Emilia e dintorni, dove forse è prevalsa l'affezione alla storia di cui siamo figli, una sorta di Fort Alamo – sintonizzato sulle reali e concrete questioni del Paese,  come dicevo, ma incline ai giochi di palazzo. Giusto o sbagliato che sia, ma qualcosa di vero c'è, questo è il risultato di oltre 10 anni di governo: dal 2011 con il Governo Monti (io sarei andato al voto quando cadde il Governo Berlusconi): invece noi per supposta responsabilità accettammo di farne parte e dal 2013 siamo sempre stati in un governo di coalizione, come Presidenti del Consiglio Letta, Renzi e Gentiloni. Elezioni del 2018 sconfitti e formazione del governi Conte-Salvini (2018-2019), e nel settembre 2019 nel governo Conte. Anche in questa occasione, come nel 2011, sarei andato alle elezioni con il rischio di perder,e ma avremmo avuto, forse, l’opportunità di definirci meglio. E poi in quello Draghi fino al luglio scorso. Abbiamo rimandato le elezioni per paura di essere bastonati e il risultato di oggi è proprio quello. In quello che ho detto dovrebbe essere anche emerso il partito che vorrei.

3) –UN NUOVO PARTITO?

La lettera che Enrico Letta ha inviato agli iscritti (e alla stampa) contiene, a mio avviso, una dose di vittimismo fuori luogo; esprime un senso di tragedia come fossimo alla canna del gas. Può darsi che Letta sia in un momento di confusione, forse comprensibile. Oppure, abbia voluto anticipare tutte le possibili critiche, che con ogni probabilmente sarebbero arrivate anche da coloro i quali hanno condiviso, fino al giorno prima, le scelte politiche compiute. Infatti sono arrivate… Ora è tutto un florilegio di consigli, quando va bene, o di imperativi: «Scioglietevi!». Dovremmo invece seguire serenamente il percorso congressuale, organizzare nel frattempo anche assemblee aperte alla cittadinanza e alla società nella sue diverse articolazioni. Non è possibile cambiare segretario ogni anno e mezzo; al contrario Letta non solo, come ha detto, deve accompagnare la fase precongressuale, ma deve rimanere al suo posto anche a Congresso svolto.

Come prima segnale forte, nell'ipotetico programma politico del futuro, dovremmo mettere al primo posto la riforma della legge elettorale rovesciando la logica del Rosatellum, ridando agli elettori la possibilità della scelta dei loro rappresentanti in Parlamento. Che significa candidati legati ai collegi e quindi ai territori, che si traduce nel dare vera voce in capitolo, per quello che riguarda il PD, alle federazioni provinciali. Quale sistema elettorale? Potrebbe essere o il sistema francese che è diviso tra proporzionale e maggioritario (che preferisco), o il proporzionale con soglia di sbarramento (alla tedesca, ad es.); o il Mattarellum o comunque un sistema elettorale che ridia peso agli elettori. Naturalmente non può e non deve mancare la Politica (con la P maiuscola) l'unica capace di rinsaldare il legame fra lo società civile e lo stato democratico. 

Strettamente legate al tipo di sistema elettorale (indicazione del candidato premier) bisognerebbe, a mio parere, trovare un equilibrio fra le scelte degli iscritti e quelle dei simpatizzanti, che votano la loro preferenza.  Il partito deve essere il luogo in cui deve trovare spazio e voce il mondo del lavoro (i produttori) in tutte le sue espressioni. 

Un partito ha la necessità, credo, di prospettare/costruire una visione del mondo, una cultura, che è anche una politica, “progressista” di elaborare progetti e suscitare emozioni. La politica, penso, non è fatta solo di ragione, di razionalità e di dati, perché la percezione spesso è più “reale” della realtà, ovvero la forza delle credenze popolari. Ci siamo rivolti giustamente ai ceti medi e benestanti, ma trascurando l’elettorato più popolare: la destrutturazione della politica di welfare (pensiamo al comparto sanitario), di tutela del lavoro (riforma degli ammortizzatori sociali) e dell'ambiente (spesso difficili da far convivere); l'impatto dell'immigrazione (al di là di slogan e di moralismi) sono stati oscurati o comunque sono risultati defilati rispetto alle politiche dei diritti, sacrosanti, ma insufficienti per consolidare e/o conquistare/riconquistare nuovi elettori. 

E le gambe su cui far procedere l'azione sono i blocchi sociali di riferimento, diciamo anche se diversi da quelli del Novecento, che vanno al di là della semplice figura generica del cittadino. Sta qui la capacità di far politica. Un blocco sociale di produttori, in cui farei rientrare sia imprenditori e lavoratori, in tutte le forme oggi esistenti nel mercato del lavoro, categorie sociali/politiche che hanno bisogno di una rappresentanza politica, cioè di cittadinanza. Non significa un partito onnicomprensivo ma un partito capace di creare alleanze con movimenti autonomi che esprimono esigenze reali e con le variegate forme associative volontarie che vogliono rispondere a bisogni sociali, economici e culturali (spero di non aver dimenticato nessuno) e nel culturale è compreso anche il tema ambientale che non può essere meramente economico. E i diritti civili devono trovare collocazione in questo prospettiva di ampio respiro.

La capacità di ascolto è decisiva. E per questo il PD dovrebbe essere una casa di vetro con porte girevoli in cui l'interno e l'esterno siano costantemente in comunicazione critica e creativa, in altre parole, un luogo partecipativo di idee e di persone. E in questa logica che la formazione e la selezione dei dirigenti deve essere rigorosa, è in questa logica che il ruolo degli iscritti non può essere che attiva, coinvolgendoci come del resto è previsto dal nostro regolamento. Non mi risulta, però, ad esempio, che lo strumento del referendum interno sia mai stato usato. Oggi con i networks stare in contatto non è molto difficile, basta volerlo e... dotarsene.

Quale Partito?

In base alle considerazioni sopracitate, un partito, che ha la giusta l'ambizione di governare e di essere espressione di un dato bacino elettorale, come dovrebbe strutturarsi “formalmente”? Come prospettiva dovremmo darci la capacità di costruire un partito in cui anime plurime, diciamo, destra, sinistra e di centro trovino in esso uno spazio dialettico; uno spazio che permetta a chi ha più filo, cioè argomenti, di conquistare la maggioranza. È una questione complessa - che non ho certo l'ambizione di risolvere in poche righe – ma la logica correntizia (cioè dei capibastone) che hanno segnato la (faticosa) vita del Partito in questi anni deve essere accantonata. 


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