Non mi sarei aspettato nulla del
genere. Io ho iniziato a calcare dei palchi alla veneranda età di 36 anni, età
in cui altri hanno già smesso e deposto le velleità magari perché non hanno
ottenuto i risultati sperati o hanno messo su famiglia. Io che quelle velleità
non le avevo mai avute mi sono trovato con gli Offlaga Disco Pax in pochissimo
tempo con i dischi nei negozi, una miriade di concerti, ogni sera centinaia di
persone e una fama, di nicchia se vogliamo, ma non piccolissima che mi ha colto
del tutto alla sprovvista. Un gruppo come gli Offlaga non avrebbe mai potuto avere un successo pop di massa ma comunque si è costruito dieci anni di storia
discografica e sulle scene. Come ti ho detto se me l’avessero raccontato non ci
avrei creduto tanto che, lo dico sinceramente, non sapendo né cantare né
suonare mi ero sempre visto più che altro come spettatore. Mi sono costruito un
percorso narrativo, sono uno che racconta storie (ora qualcuno direbbe storyteller), storie spesso
autobiografiche e personali che in teoria non dovrebbero interessare a nessuno.
Infatti mi porto dentro un certo senso di colpa, una sorta di sindrome
dell’impostore, come chi stia vivendo la vita di qualcun altro che aveva questi
sogni e ha fallito, mentre a me, che non li avevo, è capitato di realizzarli.
Risposta sincera ed ecumenica, ma
ricordiamo che i ragazzi che suonavano con te, più giovani di 10 anni, questi
sogni li avevano e comunque vi siete fatti un mazzo tanto andando a suonare in
locali, circoli e cantine nei luoghi più improbabili. È stata anche la gavetta
che fanno in tanti. È il risultato finale ad essere sorprendente. Perché data
la tipologia di musica che facevate non c’è alcun dubbio che alla radice della
popolarità raggiunta dal gruppo (dischi, fans, merchandising ecc.) ci sono i
tuoi testi che declamavi come inconfondibile frontman. Uno strano connubio che
ti ha portato anche dopo la fine dell’esperienza degli Offlaga a rimanere un
protagonista di quella scena musicale e non solo. Ad esempio sei stato più
volte ospite di Zoro a Propaganda live su La 7.
Già, e a fare non solo quello che
un po’ so fare ma anche altro. In una puntata poco prima delle regionali
emiliane del gennaio 2020 ho girato con Zoro e la troupe un’intera giornata
nella provincia reggiana per fargli vedere, su sua richiesta, qual era il
clima. Una sorta di accompagnatore rappresentativo (quanto?) di qualcosa, non
solo l’autore di qualche pezzo per la trasmissione. Io ero emozionato, sentivo
che qualcuno considerava cose che avevo fatto come più importanti di quanto io
stesso le percepissi.
È lì che si è consolidata una tua
immagine che, a vent’anni di distanza, ricalca quella di Zamboni e Ferretti dei
CCCP, musicisti-intellettuali che vengono chiamati ad esprimersi su questioni
politico-culturali. Ti sarà capitato molte volte di essere considerato un loro
successore o di averne comunque tratto ispirazione.
Certo meglio i CCCP di , che ne
so, Nilla Pizzi. Ma i nostri testi e la musica sono diversissimi, e
diversissimo è il contesto. Io ho scoperto i CCCP da ragazzo, studente del
Secchi, e li ho amati prima ancora di averli ascoltati (allora un gruppo rock
underground non era così facile ascoltarlo gratis se non dal vivo). Passavo nel
1985 davanti ad un negozio di dischi c’era la copertina di “Compagni, cittadini,
fratelli, partigiani”; allora, si chiamavano CCCP, erano di Reggio Emilia, sul
retro c’era la cartina della provincia, facevano punk filosovietico, li ho
adorati a prescindere. Dal punto di vista dell’imprinting musicale e culturale
sono stati fondamentali. Dal punto di vista della mia scrittura da adulto penso
invece di no, alcune somiglianze derivano più che altro dal fatto che contesto
geografico e riferimenti sono inevitabilmente simili, però la nostra storia è
del tutto diversa.
Lo stile narrativo dei CCCP era
incentrato molto sulla provocazione con poca o niente ironia…
Soprattutto zero autoironia,
mentre per gli Offlaga, arrivati vent’anni dopo e dopo il crollo delle
ideologie questo è imprescindibile. Va detto che i CCCP presagivano ed
esprimevano già in qualche modo la crisi di quel mondo. Forse più di quanto la
potessi percepire io. Un mondo che si stava sgretolando ed è come se loro
cercassero di fermarlo a mani nude.
Qui ritorna il poeta… ma dimmi un
po’, tra i tuoi fans, che incontri dal vivo o ti seguono sui social, non ti
capita mai di trovare gente che ti immagina vetero-nostalgico di quel mondo,
gente che spesso ha un’idea del PCI del tutto immaginaria, condita da una
passione antiquaria ed estremista ?
Mi ricordo anche un facsimile di
romanzo…
Era un memoriale su una relazione sentimentale disastrosa, si chiamava Carlotteide, di cui non vado fiero e che ora possiamo tranquillamente trascurare. Comunque quando ho iniziato a scrivere pensavo di farlo esclusivamente per un pubblico che condivideva con le esperienze politiche degli anni ’80. Una sorta di diario adulto che parlava di un mondo totalmente diverso, dove facevo i conti con le mie illusioni e delusioni anche politiche e pensavo che chi mi voleva leggere o ascoltare fosse come me. La cosa incredibile è stata invece vedere che di quello che ho vissuto a quei tempi non è fregato un c…o a nessuno; quasi nessuno di quelli che hanno condiviso con me quelle esperienze si è riconosciuto o mi ha mai dato un riscontro, mentre ho ricevuto un’attenzione spropositata dalla generazione successiva, che a quei tempi era ancora bambina. Eravamo molto divisivi, per pochi fummo una rivelazione quasi cult, per altri un’insopportabile aberrazione. Uno, per insultarmi, scrisse su un sito che la mia voce parlante sembrava lo speaker della stazione di Bologna, cosa che trovai in realtà meravigliosa. Comunque ho imparato che non puoi facilmente sceglierti un pubblico, all’inizio erano 25enni, ora invece 35-50enni, diciamo che sono invecchiati con me.
La tua esperienza con gli Offlaga
e tutto quello che hai fatto dopo, compresi i vari progetti che stai facendo
ora, che rapporto ha con la politica ?
Era fondamentale non solo nei
testi, ma anche nel modo di operare del gruppo, che faceva scelte politiche.
Per esempio non abbiamo mai voluto avere a che fare con l’industria
discografica tradizionale. Eravamo un collettivo che discuteva animatamente ma
poi una volta deciso tirava pari; praticavamo una sorta di centralismo
democratico. La politica era il contesto imprescindibile dell’immaginario delle
nostre canzoni, ma una politica in un mondo totalmente altro: diviso in blocchi
caratterizzati da forti ideologie. Ora che piaccia o no è rimasta solo
un’ideologia dominante, comunque il mio pensiero sull’oggi credo si possa
intendere chiaramente, anche se non sempre espresso in modo esplicito.
C’è ora una banale domanda che di
rito si rivolge ai reggiani impegnati in attività artistico-culturali su scala
nazionale. E la cultura a Reggio ?
Ci sono tanti luoghi e spazi, ma
anche un po’ di conformismo. Se escludiamo alcune eccellenze come Festival
Aperto (ora a volte un po’ conservativo), c’è un clima tra il tranquillo e il
compiaciuto nutrito da idee figlie di intuizioni del passato. Non si può sempre
incolpare la politica. C’è poco coraggio nella società, è difficile essere
avanguardisti e vale anche per me, alla mia età poi. Però bene Fotografia
europea, i nuovi Musei Civici, il Rosebud (importantissimo presidio culturale) e finalmente il recupero della Sala Verdi.
Comunque non mi aggiungo alla lista di chi si lamenta. In cultura non c’è
alcuna proporzione tra la quantità delle risorse e la qualità del risultato. Si
possono fare grandi e buone cose anche con piccole risorse. E non sono certo
dell’idea che l’assessorato alla cultura debba continuamente stimolare la
cultura locale ed esserne ritenuto sempre responsabile. Tra le giovani
generazioni la diffusione dei social ed in generale della comunicazione e
dell’espressione digitale sta scombinando tutto: modi, stili e linguaggi.
Ora è molto più facile mettersi
in circolo, tramite YouTube, TikTok e così via. E vista la massa critica che si
genera si può ben dire che uno su mille (ad essere ottimisti) ce la fa. Ma
anche nel mondo di allora qualcuno ce l’ha fatta, pensiamo a uno come Ligabue,
con il percorso una volta classico: radio locali, circoli Arci, feste
dell’Unità. Quello che hai detto delle
nuove generazioni come si concilia questo con la storia iniziata nei tardi anni
‘50 e durata fino ad oggi per cui ragazzini di 15 anni formavano gruppi
musicali e suonavano davvero nelle cantine di casa ?
Non
si concilia appunto. Ora i modelli sono Amici, X Factor, una realtà fatta spesso
da solisti che propongono cover e
pochi collettivi che fanno musica insieme. È sorprendente invece il successo
popolare di un gruppo come i Måneskin, che propongono una cosa che
artisticamente conosciamo da quarant’anni (rock sudato e chitarre), ma forse
ritorna come nuova a ventenni abituati alle proposte di cui dicevamo prima. È
difficile costruire un circuito quando pensi di appagare la tua curiosità dal
cellulare, magari standotene comodamente a casa. La musica diventa collettiva
solo all’evento. Di questo passo però mi trasformo in un vecchio barbogio che
ripete che si stava meglio una volta e questo mi irrita. Non vorrei finire come
un residuo marginale.
Rispetto a quando eravamo giovani e facevamo politica tra gli studenti ora però c’è una novità che allora ci mancava, e che invidiavamo a Bologna e cioè l’università: migliaia e migliaia di studenti universitari e tanti professori, un capitale di straordinaria importanza. Ricordo che nel Comitato Federale del PCI di Reggio Emilia c’erano forse due docenti universitari (che insegnavano a Bologna). Ora ce ne sono altrettanti nel solo Direttivo del nostro circolo.
Non mi pare però che ancora
l’università stia dando un tono alla città, a parte qualche ritrovo per
aperitivi o i gioiosi neolaureati che fanno festa con la corona d’alloro. Mi
sembra che non si esprima ancora un qualche fermento, in sostanza che non
interloquisca con il tessuto cittadino. Secondo me la città poi, a parte i
proprietari di case in affitto, manco se n’è accorta. E lo dico avendo incontrato
per motivi di lavoro, un po’ di studenti fuori sede. Forse è ancora presto o la
mia è una visione limitata. Forse dipende anche dal fatto che ci sia solo una
facoltà umanistica, di solito sono proprio quelle umanistiche le fucine di
sperimentazioni creative e dibattiti.
Hai visto l’Eurovision ?
Per snobismo ne ho visto solo un
pezzo, quest’anno non sono stato incuriosito più di tanto. Invece da sempre
sono un grande appassionato di Sanremo
Ma dai !
Sì, perché aiuta molto a
comprendere cosa c’è e cosa si muove, e non si muove, nella società. In realtà
Sanremo in questi anni si è adeguato alle novità. Ci sono passati molti miei
amici con cui ho attraversato questi anni e spesso condiviso feste e palchi:
Colapesce, Diodato, che l’ha pure vinto, Lo Stato Sociale; vederli lì mi
riempie davvero di giuoia (con la “u”). Ora l’offerta del festival è ecumenica:
da vecchie glorie a cantautori, da vincitori di talent ad esponenti della nuova
scena indipendente. Ma non è un caso, le multinazionali discografiche stanno
investendo su quello che una volta era solo un mondo underground. Ora gli
incassi non li fanno più ovviamente i dischi, ma i live e gli streaming. Quest’anno a Sanremo ad esempio hai visto un vero e
proprio alieno come Giovanni Truppi. Tra l’altro ora la selezione iniziale
avviene tra tre-quattromila brani, così ti puoi spiegare come mai sono passati su quel palco da Marta sui Tubi ai Marlene Kuntz fino agli Zen Circus.
C’è chi si è giocato bene quella chance come Lo Stato Sociale che, senza
snaturarsi, sono passati da un pubblico fedele, ma di soli studenti, a fenomeno nazionale. Altri sono spariti o ritornati
tranquillamente nel loro mondo.
Progetti per il futuro, a parte
la pensione ?
Domande sparse che mi sono venute
in mente durante la chiacchierata. Nel tuo viaggio sui palchi di mezz’Italia,
incontrando la gente più diversa, ti ha aiutato la tua esperienza politica di
viceleader e organizzatore dei 500 studenti che componevano la Lega Studenti
Medi della FGCI ?
Bei tempi, ero giovane e bello, ma soprattutto magro. Bando agli scherzi, in tutte le cose che ho fatto nella
vita, nel mio lavoro e nelle mie passioni, quell’esperienza formativa mi ha
aiutato, è stato un imprinting da cui non posso prescindere. Tutto quello che
sono oggi è figlio anche, e molto, di quell’esperienza lì. E lo dico perché lo
penso davvero. È attraverso quella lente che mi sono costruito allora che cerco
di comprendere le cose dell’oggi. Ma l’esperienza mi è servita molto anche
banalmente per stare su un palco e in generale per comunicare.
Avete mai suonato ad Offlaga, il
comune del bresciano da cui prendete il nome ?
Era un sogno (anche se ho già
detto quello che penso sul voler testardamente realizzare i propri sogni, è una
mitologia). Comunque non l’abbiamo mai realizzato. A un certo punto degli anni
2000 c’era una giunta civica di sinistra-ambientalista, nata contro il progetto
di una centrale a turbogas (che volevano fare lì perché Offlaga è nel mezzo del
nulla), poi però l’amministrazione è caduta e non se ne è fatto più niente.
Anzi penso che ancora oggi ci odino, perché se digiti “Offlaga” su Google
spesso veniamo prima noi.
Leggenda vuole che il nome derivi
da un fortuito errore di navigazione.
È tutto vero, giuro. Stavo
andando a un concerto nel bresciano durante un temporale, ho sbagliato strada
(che è l’unico modo per finire ad Offlaga, allora non c’erano i navigatori) e
come in un film horror un lampo ha illuminato il cartello con il nome e io ho
pensato: “Offlaga ? Ma siamo in Bosnia ?”. Tornato a casa ho controllato sulla
cartina che quel posto esistesse realmente.
La gente che ti incontra come ti
colloca politicamente, perché ormai anche la sinistra è un concetto
stiratissimo ?
Generalmente mi collocano dove si
collocano loro. Se uno simpatizzava con Vendola era sicuro che io fossi lì e
così via. C’è però quel piccolo distacco generazionale per cui nessuno ha idea
di cosa significhi venire dal PCI di Reggio Emilia, che aveva 60.000
iscritti, cioè un abitante maggiorenne su 6, con una solidissima ed eccellente
cultura di governo e una presenza pervasiva nella società. L’idea
pseudoromantica di un partito ideologico-rivoluzionario d’opposizione non sta né in cielo né in terra. Io non sono quella
roba lì, estremista ed extraparlamentare (come si diceva allora),
che allora tra l’altro odiava e attaccava il PCI e che ora lo rimpiange e fonda
partitini pseudocomunisti che tutti insieme arrivano forse all’1%. Io ero
parte di un vero partito di massa, in cui anche la selezione dei gruppi
dirigenti, seppur ben lontana dall’essere perfetta, era assai meno triste
rispetto a quella attuale. Ora con pochi militanti e pochi quadri (come si
diceva sempre allora) è certo più complicato e spesso non si prendono i
migliori, che magari se ne stanno per conto loro. Oddio, la parola “migliore” mi
fa venire i brividi pensando a Gennaro.
Prima di chiudere ti chiedo
qualche parola su un tuo idolo politico, che sorprenderà i più: Gentiloni.
Comunque alla fine rimani sempre
un sincero democratico.
Sono certamente un sincero democratico, ma resto anche un convinto fautore del centralismo democratico.
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