Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


Artista per caso. Dialogo con un reggiano che fa opinione suo malgrado.

 


                      Intervista con Max Collini (a cura di Maurizio Frignani).

Siamo qui con Max Collini che paradossalmente, e voglio sapere cosa ne pensi, è uno degli artisti italiani più noti, non solo nel settore “indie”, ma anche nel settore culturale più in generale. Te lo saresti aspettato ?

Non mi sarei aspettato nulla del genere. Io ho iniziato a calcare dei palchi alla veneranda età di 36 anni, età in cui altri hanno già smesso e deposto le velleità magari perché non hanno ottenuto i risultati sperati o hanno messo su famiglia. Io che quelle velleità non le avevo mai avute mi sono trovato con gli Offlaga Disco Pax in pochissimo tempo con i dischi nei negozi, una miriade di concerti, ogni sera centinaia di persone e una fama, di nicchia se vogliamo, ma non piccolissima che mi ha colto del tutto alla sprovvista. Un gruppo come gli Offlaga non avrebbe mai potuto avere un successo pop di massa ma comunque si è costruito dieci anni di storia discografica e sulle scene. Come ti ho detto se me l’avessero raccontato non ci avrei creduto tanto che, lo dico sinceramente, non sapendo né cantare né suonare mi ero sempre visto più che altro come spettatore. Mi sono costruito un percorso narrativo, sono uno che racconta storie (ora qualcuno direbbe storyteller), storie spesso autobiografiche e personali che in teoria non dovrebbero interessare a nessuno. Infatti mi porto dentro un certo senso di colpa, una sorta di sindrome dell’impostore, come chi stia vivendo la vita di qualcun altro che aveva questi sogni e ha fallito, mentre a me, che non li avevo, è capitato di realizzarli.

Risposta sincera ed ecumenica, ma ricordiamo che i ragazzi che suonavano con te, più giovani di 10 anni, questi sogni li avevano e comunque vi siete fatti un mazzo tanto andando a suonare in locali, circoli e cantine nei luoghi più improbabili. È stata anche la gavetta che fanno in tanti. È il risultato finale ad essere sorprendente. Perché data la tipologia di musica che facevate non c’è alcun dubbio che alla radice della popolarità raggiunta dal gruppo (dischi, fans, merchandising ecc.) ci sono i tuoi testi che declamavi come inconfondibile frontman. Uno strano connubio che ti ha portato anche dopo la fine dell’esperienza degli Offlaga a rimanere un protagonista di quella scena musicale e non solo. Ad esempio sei stato più volte ospite di Zoro a Propaganda live su La 7.

Già, e a fare non solo quello che un po’ so fare ma anche altro. In una puntata poco prima delle regionali emiliane del gennaio 2020 ho girato con Zoro e la troupe un’intera giornata nella provincia reggiana per fargli vedere, su sua richiesta, qual era il clima. Una sorta di accompagnatore rappresentativo (quanto?) di qualcosa, non solo l’autore di qualche pezzo per la trasmissione. Io ero emozionato, sentivo che qualcuno considerava cose che avevo fatto come più importanti di quanto io stesso le percepissi.

È lì che si è consolidata una tua immagine che, a vent’anni di distanza, ricalca quella di Zamboni e Ferretti dei CCCP, musicisti-intellettuali che vengono chiamati ad esprimersi su questioni politico-culturali. Ti sarà capitato molte volte di essere considerato un loro successore o di averne comunque tratto ispirazione.

Certo meglio i CCCP di , che ne so, Nilla Pizzi. Ma i nostri testi e la musica sono diversissimi, e diversissimo è il contesto. Io ho scoperto i CCCP da ragazzo, studente del Secchi, e li ho amati prima ancora di averli ascoltati (allora un gruppo rock underground non era così facile ascoltarlo gratis se non dal vivo). Passavo nel 1985 davanti ad un negozio di dischi c’era la copertina di “Compagni, cittadini, fratelli, partigiani”; allora, si chiamavano CCCP, erano di Reggio Emilia, sul retro c’era la cartina della provincia, facevano punk filosovietico, li ho adorati a prescindere. Dal punto di vista dell’imprinting musicale e culturale sono stati fondamentali. Dal punto di vista della mia scrittura da adulto penso invece di no, alcune somiglianze derivano più che altro dal fatto che contesto geografico e riferimenti sono inevitabilmente simili, però la nostra storia è del tutto diversa.

Lo stile narrativo dei CCCP era incentrato molto sulla provocazione con poca o niente ironia…

Soprattutto zero autoironia, mentre per gli Offlaga, arrivati vent’anni dopo e dopo il crollo delle ideologie questo è imprescindibile. Va detto che i CCCP presagivano ed esprimevano già in qualche modo la crisi di quel mondo. Forse più di quanto la potessi percepire io. Un mondo che si stava sgretolando ed è come se loro cercassero di fermarlo a mani nude.

Qui ritorna il poeta… ma dimmi un po’, tra i tuoi fans, che incontri dal vivo o ti seguono sui social, non ti capita mai di trovare gente che ti immagina vetero-nostalgico di quel mondo, gente che spesso ha un’idea del PCI del tutto immaginaria, condita da una passione antiquaria ed estremista ?

Io ho iniziato a scrivere per conto mio questo tipo di racconti più di vent’anni fa, poi Enrico e Daniele [gli altri due membri storici degli Offlaga Disco Pax n.d.r.], che li avevano letti, mi hanno chiesto di collaborare  musicandone alcuni. Io prima non avevo mai fatto nulla di artistico, scrivevo per amici e su qualche blog, allora non esistevano i social, il massimo della condivisione era una mailing list; mai però avevo mandato materiale ad editori.

Mi ricordo anche un facsimile di romanzo…

Era un memoriale su una relazione sentimentale disastrosa, si chiamava Carlotteide, di cui non vado fiero e che ora possiamo tranquillamente trascurare. Comunque quando ho iniziato a scrivere pensavo di farlo esclusivamente per un pubblico che condivideva con le esperienze politiche degli anni ’80. Una sorta di diario adulto che parlava di un mondo totalmente diverso, dove facevo i conti con le mie illusioni e delusioni anche politiche e pensavo che chi mi voleva leggere o ascoltare fosse come me. La cosa incredibile è stata invece vedere che di quello che ho vissuto a quei tempi non è fregato un c…o a nessuno; quasi nessuno di quelli che hanno condiviso con me quelle esperienze si è riconosciuto o mi ha mai dato un riscontro, mentre ho ricevuto un’attenzione spropositata dalla generazione successiva, che a quei tempi era ancora bambina. Eravamo molto divisivi, per pochi fummo una rivelazione quasi cult, per altri un’insopportabile aberrazione. Uno, per insultarmi, scrisse su un sito che la mia voce parlante sembrava lo speaker della stazione di Bologna, cosa che trovai in realtà meravigliosa. Comunque ho imparato che non puoi facilmente sceglierti un pubblico, all’inizio erano 25enni, ora invece 35-50enni, diciamo che sono invecchiati con me.

La tua esperienza con gli Offlaga e tutto quello che hai fatto dopo, compresi i vari progetti che stai facendo ora, che rapporto ha con la politica ?

Era fondamentale non solo nei testi, ma anche nel modo di operare del gruppo, che faceva scelte politiche. Per esempio non abbiamo mai voluto avere a che fare con l’industria discografica tradizionale. Eravamo un collettivo che discuteva animatamente ma poi una volta deciso tirava pari; praticavamo una sorta di centralismo democratico. La politica era il contesto imprescindibile dell’immaginario delle nostre canzoni, ma una politica in un mondo totalmente altro: diviso in blocchi caratterizzati da forti ideologie. Ora che piaccia o no è rimasta solo un’ideologia dominante, comunque il mio pensiero sull’oggi credo si possa intendere chiaramente, anche se non sempre espresso in modo esplicito.

C’è ora una banale domanda che di rito si rivolge ai reggiani impegnati in attività artistico-culturali su scala nazionale. E la cultura a Reggio ?

Ci sono tanti luoghi e spazi, ma anche un po’ di conformismo. Se escludiamo alcune eccellenze come Festival Aperto (ora a volte un po’ conservativo), c’è un clima tra il tranquillo e il compiaciuto nutrito da idee figlie di intuizioni del passato. Non si può sempre incolpare la politica. C’è poco coraggio nella società, è difficile essere avanguardisti e vale anche per me, alla mia età poi. Però bene Fotografia europea, i nuovi Musei Civici, il Rosebud (importantissimo presidio culturale) e finalmente il recupero della Sala Verdi. Comunque non mi aggiungo alla lista di chi si lamenta. In cultura non c’è alcuna proporzione tra la quantità delle risorse e la qualità del risultato. Si possono fare grandi e buone cose anche con piccole risorse. E non sono certo dell’idea che l’assessorato alla cultura debba continuamente stimolare la cultura locale ed esserne ritenuto sempre responsabile. Tra le giovani generazioni la diffusione dei social ed in generale della comunicazione e dell’espressione digitale sta scombinando tutto: modi, stili e linguaggi. 

Ora è molto più facile mettersi in circolo, tramite YouTube, TikTok e così via. E vista la massa critica che si genera si può ben dire che uno su mille (ad essere ottimisti) ce la fa. Ma anche nel mondo di allora qualcuno ce l’ha fatta, pensiamo a uno come Ligabue, con il percorso una volta classico: radio locali, circoli Arci, feste dell’Unità.  Quello che hai detto delle nuove generazioni come si concilia questo con la storia iniziata nei tardi anni ‘50 e durata fino ad oggi per cui ragazzini di 15 anni formavano gruppi musicali e suonavano davvero nelle cantine di casa ?

Non si concilia appunto. Ora i modelli sono Amici, X Factor, una realtà fatta spesso da solisti che propongono cover e pochi collettivi che fanno musica insieme. È sorprendente invece il successo popolare di un gruppo come i Måneskin, che propongono una cosa che artisticamente conosciamo da quarant’anni (rock sudato e chitarre), ma forse ritorna come nuova a ventenni abituati alle proposte di cui dicevamo prima. È difficile costruire un circuito quando pensi di appagare la tua curiosità dal cellulare, magari standotene comodamente a casa. La musica diventa collettiva solo all’evento. Di questo passo però mi trasformo in un vecchio barbogio che ripete che si stava meglio una volta e questo mi irrita. Non vorrei finire come un residuo marginale.

Rispetto a quando eravamo giovani e facevamo politica tra gli studenti ora però c’è una novità che allora ci mancava, e che invidiavamo a Bologna e cioè l’università: migliaia e migliaia di studenti universitari e tanti professori, un capitale di straordinaria importanza. Ricordo che nel Comitato Federale del PCI di Reggio Emilia c’erano forse due docenti universitari (che insegnavano a Bologna). Ora ce ne sono altrettanti nel solo Direttivo del nostro circolo.

Non mi pare però che ancora l’università stia dando un tono alla città, a parte qualche ritrovo per aperitivi o i gioiosi neolaureati che fanno festa con la corona d’alloro. Mi sembra che non si esprima ancora un qualche fermento, in sostanza che non interloquisca con il tessuto cittadino. Secondo me la città poi, a parte i proprietari di case in affitto, manco se n’è accorta. E lo dico avendo incontrato per motivi di lavoro, un po’ di studenti fuori sede. Forse è ancora presto o la mia è una visione limitata. Forse dipende anche dal fatto che ci sia solo una facoltà umanistica, di solito sono proprio quelle umanistiche le fucine di sperimentazioni creative e dibattiti.

Hai visto l’Eurovision ?

Per snobismo ne ho visto solo un pezzo, quest’anno non sono stato incuriosito più di tanto. Invece da sempre sono un grande appassionato di Sanremo

Ma dai !

Sì, perché aiuta molto a comprendere cosa c’è e cosa si muove, e non si muove, nella società. In realtà Sanremo in questi anni si è adeguato alle novità. Ci sono passati molti miei amici con cui ho attraversato questi anni e spesso condiviso feste e palchi: Colapesce, Diodato, che l’ha pure vinto, Lo Stato Sociale; vederli lì mi riempie davvero di giuoia (con la “u”). Ora l’offerta del festival è ecumenica: da vecchie glorie a cantautori, da vincitori di talent ad esponenti della nuova scena indipendente. Ma non è un caso, le multinazionali discografiche stanno investendo su quello che una volta era solo un mondo underground. Ora gli incassi non li fanno più ovviamente i dischi, ma i live e gli streaming. Quest’anno a Sanremo ad esempio hai visto un vero e proprio alieno come Giovanni Truppi. Tra l’altro ora la selezione iniziale avviene tra tre-quattromila brani, così ti puoi spiegare come mai sono passati su quel palco da Marta sui Tubi ai Marlene Kuntz fino agli Zen Circus. C’è chi si è giocato bene quella chance come Lo Stato Sociale che, senza snaturarsi, sono passati da un pubblico fedele, ma di soli studenti, a fenomeno nazionale. Altri sono spariti o ritornati tranquillamente nel loro mondo.

Progetti per il futuro, a parte la pensione ?

Per la pensione non ho fatto ancora i conti ma ci vorrà una dozzina d’anni. Io non sono mai stato uno bravo con i piani quinquennali, però ho sempre in testa qualcosa, per ora sto concludendo un tour di 50 spettacoli in cui sono da solo sul palco a leggere e commentare testi del mondo “indie” (che poi è semplicemente pop) di questi anni. Il prossimo progetto invece è uno spettacolo su testi miei di cui non rivelo niente. Dovrei fare un altro disco con Spartiti che è il frutto della collaborazione con Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò, con cui di recente abbiamo fatto uno spettacolo dedicato all’occupazione delle Reggiane del 1950, proprio in occasione della bellissima mostra che invito tutti ad andare a vedere.

Domande sparse che mi sono venute in mente durante la chiacchierata. Nel tuo viaggio sui palchi di mezz’Italia, incontrando la gente più diversa, ti ha aiutato la tua esperienza politica di viceleader e organizzatore dei 500 studenti che componevano la Lega Studenti Medi della FGCI ?

Bei tempi, ero giovane e bello, ma soprattutto magro. Bando agli scherzi, in tutte le cose che ho fatto nella vita, nel mio lavoro e nelle mie passioni, quell’esperienza formativa mi ha aiutato, è stato un imprinting da cui non posso prescindere. Tutto quello che sono oggi è figlio anche, e molto, di quell’esperienza lì. E lo dico perché lo penso davvero. È attraverso quella lente che mi sono costruito allora che cerco di comprendere le cose dell’oggi. Ma l’esperienza mi è servita molto anche banalmente per stare su un palco e in generale per comunicare.

Avete mai suonato ad Offlaga, il comune del bresciano da cui prendete il nome ?

Era un sogno (anche se ho già detto quello che penso sul voler testardamente realizzare i propri sogni, è una mitologia). Comunque non l’abbiamo mai realizzato. A un certo punto degli anni 2000 c’era una giunta civica di sinistra-ambientalista, nata contro il progetto di una centrale a turbogas (che volevano fare lì perché Offlaga è nel mezzo del nulla), poi però l’amministrazione è caduta e non se ne è fatto più niente. Anzi penso che ancora oggi ci odino, perché se digiti “Offlaga” su Google spesso veniamo prima noi.

Leggenda vuole che il nome derivi da un fortuito errore di navigazione.

È tutto vero, giuro. Stavo andando a un concerto nel bresciano durante un temporale, ho sbagliato strada (che è l’unico modo per finire ad Offlaga, allora non c’erano i navigatori) e come in un film horror un lampo ha illuminato il cartello con il nome e io ho pensato: “Offlaga ? Ma siamo in Bosnia ?”. Tornato a casa ho controllato sulla cartina che quel posto esistesse realmente.

La gente che ti incontra come ti colloca politicamente, perché ormai anche la sinistra è un concetto stiratissimo ?

Generalmente mi collocano dove si collocano loro. Se uno simpatizzava con Vendola era sicuro che io fossi lì e così via. C’è però quel piccolo distacco generazionale per cui nessuno ha idea di cosa significhi venire dal PCI di Reggio Emilia, che aveva 60.000 iscritti, cioè un abitante maggiorenne su 6, con una solidissima ed eccellente cultura di governo e una presenza pervasiva nella società. L’idea pseudoromantica di un partito ideologico-rivoluzionario d’opposizione non sta né in cielo né in terra. Io non sono quella roba lì, estremista ed extraparlamentare (come si diceva allora), che allora tra l’altro odiava e attaccava il PCI e che ora lo rimpiange e fonda partitini pseudocomunisti che tutti insieme arrivano forse all’1%. Io ero parte di un vero partito di massa, in cui anche la selezione dei gruppi dirigenti, seppur ben lontana dall’essere perfetta, era assai meno triste rispetto a quella attuale. Ora con pochi militanti e pochi quadri (come si diceva sempre allora) è certo più complicato e spesso non si prendono i migliori, che magari se ne stanno per conto loro. Oddio, la parola “migliore” mi fa venire i brividi pensando a Gennaro.

Prima di chiudere ti chiedo qualche parola su un tuo idolo politico, che sorprenderà i più: Gentiloni.

Io sono una sorta di fan di Gentiloni, lo ammetto candidamente. La storia di Gentiloni, che viene dalla Margherita e quindi quasi tutti pensano che abbia un’origine democristiana e non è vero per niente, è una storia fantastica. Mai stato democristiano, in origine maoista, poi nel PDUP, vicino al PCI, poi uscito dalla politica attiva, è richiamato da Rutelli quando era capo della Margherita (un radicale a capo della Margherita è sempre stato un mistero per me). Alla fine possiamo ben dire che Gentiloni è stato il secondo Presidente del Consiglio italiano di formazione marxista. E non aggiungo altro

Comunque alla fine rimani sempre un sincero democratico.

Sono certamente un sincero democratico, ma resto anche un convinto fautore del centralismo democratico.

 

 

 

 

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