Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


Cooperazione e futuro


Intervista con Marco Pedroni (a cura di Maurizio Frignani).

Con Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, parliamo di cooperative, del loro ruolo attuale e di come affrontare crisi e inflazione.

Le cooperative hanno il controllo del secondo gruppo assicurativo-bancario del paese (Unipol). Aldilà del legittimo orgoglio, la domanda continua ad essere: per un cittadino dov'è la differenza ? C'è chi dice, con malizia, che in realtà sia Unipol a controllare le cooperative. 

Di per sé l'assicurazione (quando è retail) è una forma mutualistica: versi un premio per garantire non solo te stesso, ma anche gli altri. In secondo luogo Unipol che nasce con una base di cooperative e di sindacati è cresciuta passando anche da situazioni critiche comportandosi non solo correttamente sul mercato e verso i propri assicurati, ma affiancando cooperative e piccole imprese anche quando i loro requisiti di mercato non gli avrebbero permesso di accedere al mercato finanziario. In terzo luogo, le cooperative controllano Unipol e non viceversa; che poi oggi sia grande e debba rispondere a molti altri piccoli e medi azionisti comporta profili che vanno oltre la natura cooperativistica. In quarto luogo, Unipol (anzi, i suoi azionisti cooperativi) hanno salvato e ripulito Fondiaria-Sai. Infine, la partecipazione-chiave di Coop Alleanza in Unipol è fonte di buoni rendimenti e aiuta la cooperativa a posizionarsi meglio sul mercato finanziario.

Una volta partiti di sinistra, Cgil, Cna, Confesercenti, Confcoltivatori (ora CIA), Arci, Anpi, cooperative ecc. costituivano un ecosistema (non l'unico) diffuso e radicato (veniva chiamato il movimento democratico). Da tanti anni non è più così, ma privi di una ragione comune a volte alcuni di questi soggetti sembra che abbiano perso il senso vero della propria storia. E la cooperazione ?

Quell'ecosistema non c'è più dagli anni '90. In ognuna di quelle organizzazioni restano tracce più o meno profonde dell'origine comune che fa riferimento al campo socialista (anch'esso scomparso). La funzione più importante però continuano a svolgerla (come d'altra parte le omologhe organizzazioni di origine cattolica): quella di organizzare, consorziare e supportare piccole e medie realtà artigianali, imprenditoriali e di lavoro. Una volta si chiamavano ceti medi, su cui il Pci ha sviluppato una strategia di "conquista" fin dagli anni '50. 

Per quanto riguarda la cooperazione il tema è un po' diverso. Noi veniamo prima di partiti e sindacati e troviamo ragione d'essere (in Italia e nel mondo) per la nostra natura di imprese democratiche e paritarie, forme economiche che permettono l'accesso al lavoro e al mercato anche a chi non ha mezzi privati rilevanti. La scommessa rimane che sia possibile riformare il sistema capitalista e migliorare il mercato dall'interno. Questo non garantisce da errori e rischi, anche le cooperative muoiono, ma restano la forma d'impresa più resiliente.

La governance delle cooperative prevede "una testa, un voto" e nel caso di quelle di consumo, che hanno milioni di soci, teoricamente si tratta delle più grandi "public company" italiane. Sappiamo tutti però che da sempre la partecipazione, seppur incentivata (anche con i famosi pacchi di pasta omaggio) è assolutamente minima e non ha mai costituito un antidoto ad errori strategici clamorosi. I consigli d'amministrazione sono probabilmente meglio di quelli del passato, ma ancora non basta...

La partecipazione dei soci, la democrazia interna, una testa un voto sono sicuramente più facilmente applicabili a cooperative di lavoro o di conferimento, che hanno meno soci e più direttamente interessati alle attività economiche delle imprese. 

Ma anche nelle cooperative a larghissima base sociale (come il consumo) i soci e la loro rappresentanza sono decisive; negli ultimi anni abbiamo affiancato alla classica assemblea sociale anche forme di voto a punto vendita. Nelle ultime elezioni degli organi di Coop Alleanza hanno votato 170.000 soci. È una percentuale ancora limitata della base sociale, ma un numero straordinariamente grande se confrontato con qualsiasi altra impresa. La qualità e la competenza dei Consigli sono nel complesso aumentate in questi anni; nei Cda troviamo persone con competenze importanti selezionate dalle commissioni elettorali e soci attivi e qualificati scelti con il voto. È un mix impegnativo, ma interessante. 

Il tema principale è però quello di come i soci possono/debbono esprimere gli orientamenti strategici della cooperativa e quindi del loro rapporto con chi dirige le imprese. Io resto convinto che anche i dirigenti debbano essere cooperatori (quindi con competenze specifiche e con valori cooperativi). I meccanismi di selezione e formazione delle persone in coop richiedono un'attenzione e una distintività particolare. 

Comunque, anche i migliori meccanismi non garantiscono sempre le scelte giuste, ma aiutano a sbagliare meno e soprattutto attraverso il controllo a correggere errori. Pur venendo da una stagione di difficoltà e di chiusura di cooperative, bisogna ricordare che restiamo la forma di impresa più resiliente sul mercato; la vita media delle imprese cooperative è molto più lunga delle imprese di capitale. 

Quello della partecipazione dei soci e dello scambio mutualistico rimangono temi fondamentali per il futuro delle cooperative; un nodo da affrontare con cambiamenti e innovazione perché le vecchie forme di partecipazione si esauriscono e i giovani chiedono altro (ma di questo parleremo un'altra volta).

Le false cooperative sono un pericolo costante per l'immagine della vera cooperazione e poco si fa per contrastarla. Ma anche l'esternalizzazione della logistica ha prodotto danni e conflitti. Siamo sicuri che sia l'unica strada ? 

Le false cooperative sono uno dei peggiori nemici della cooperazione. Vanno combattute e noi siamo stati tra i promotori dei provvedimenti legislativi che le contrastano. 

Un discorso specifico merita la logistica. Il mercato italiano è particolarmente difficile e con molte illegalità. Si pensi solo allo sfruttamento dei rider, dietro il quale ci sono anche grandi aziende, oppure ai padroncini dei furgoni che fanno le consegne dell'online. 

Nel nostro settore abbiamo esternalizzato molte attività di gestione dei magazzini e dei trasporti, ma tutte richiedendo ai fornitori garanzie sui contratti di lavoro e sulla sicurezza. E quando ci sono stati dubbi su questi aspetti, abbiamo cambiato i fornitori anche se questo comportava un aumento dei costi del servizio.

Tutte le grandi cooperative di costruzioni reggiane sono saltate. Con danni patrimoniali e perdite di prestito sociale, ma se me l'avessero detto vent'anni fa non ci avrei creduto oppure mi sarei immaginato una provincia devastata economicamente e socialmente (e politicamente). Eppure questo non è successo. Come mai ?

La crisi del 2008-2012 è stata molto dura. Sono saltate tante imprese (private e cooperative), soprattutto nelle costruzioni e nei settori collegati. A Reggio nessuno poteva prevedere che sparissero cooperative come Coop7 o Unieco. Il prestito sociale è stato colpito molto marginalmente nella nostra provincia. C'è stato un impegno delle altre cooperative a ridurre le conseguenze sociali (lavoro, prestito, contratti ecc.) della crisi delle coop di costruzioni, se questo non fosse avvenuto le conseguenze sociali sarebbero state ancora più pesanti. 

Perché Reggio ha assorbito il colpo ed è ripartita ? Perché ha un tessuto vero e forte di competenze, una capacità del fare; ricordiamo anche che un forte stato sociale come il nostro è un ambiente favorevole allo sviluppo; poi sono rimaste importanti e forti cooperative che hanno superato (o stanno superando) le difficoltà e contribuito molto al rilancio.

Quando eravamo ragazzi l'inflazione era al 20%. Da vent'anni praticamente era invisibile nel nostro panorama mentale. Ora torna ad essere una realtà ed ancora di più uno spauracchio (non siamo più abituati...). Come sta funzionando la filiera dei prezzi e cosa succederà nel breve, e anche nel lungo se hai facoltà divinatorie ?

Questo è il tema più importante oggi. 

L'inflazione di oggi ha diverse somiglianze con quella degli anni 70'. È un'inflazione da costi esterni (choc esogeno) che rischia di frenare del tutto la ripresa economica post-covid. Stagflazione la chiamano gli economisti. Dal punto di vista macroeconomico la cosa peggiore sarebbe una risposta neoliberista di forte aumento dei tassi di interesse che provocherebbe ulteriore recessione. 

Questa è una crisi asimmetrica che colpisce soprattutto le fasce meno forti della società e del mercato. Crea ulteriore diseguaglianza. Dal nostro punto di vista di "retailer" vediamo in anticipo diversi fenomeni: una parte importante dei consumatori si difende cambiando mix di acquisti (downgrading del carrello), acquistando meno prodotti di marca e più prodotti a marchio del distributore (come i prodotti Coop), o cambiando punto vendita, spesso a favore dei discount. 

Nei rapporti con l'industria e i fornitori questa fase è molto difficile: l'aumento dei prezzi a monte è davvero forte e spesso supera il 10%, mentre alla vendita i prezzi sono aumentati ancora poco (circa 3%), ma cresceranno nei prossimi mesi. Le imprese della distribuzione soffrono per la forte compressione dei margini; diverse piccole e medie imprese di trasformazione industriale sono in difficoltà perché subiscono più di altre i rincari di energia e materie prime; ma alcune imprese importanti vedono in questa situazione un'opportunità per riposizionare i propri prezzi e guadagnare di più. Va ricordato che la Grande Distribuzione Organizzata ha un margine sulle vendite di poco più dell'1%, mentre l'industria alimentare viaggia al 5% (dati Mediobanca).  Ci vorrebbe molta più responsabilità di tutti, a partire dall'industria, per ridurre l'impatto dell'inflazione sulle famiglie. 

Per quanto riguarda la prospettiva, la mia personale sfera di cristallo mi suggerisce che il peggio (inflazione al 10 e recessione) arriverà nella seconda parte del 2022 e nel primo semestre 2023.

Prima la pandemia mondiale, ora una guerra "europea". Cambiamenti inaspettati e drammatici, che devono essere affrontati da classi dirigenti chiaramente inadeguate. Di cosa c'è bisogno ?

La debolezza delle classi dirigenti (non solo italiane, ma di gran parte dell'occidente) non la scopriamo oggi. Ritengo davvero positivo e fortunato il (quasi) caso che in Italia ci sia Draghi. Ma comunque l'Europa ha una chance vera di fare un salto di qualità in termini di politica economica e industriale, di politica estera e della difesa. Campo occidentale sì, ma con una propria soggettività. 

Ma queste sono forse più speranze che fatti concreti.


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