Il Blog del Circolo del PD "Renzo Bonazzi"


Le nostre “feste comandate”: 25 Aprile e Primo Maggio

di Max Collini.

Tra pochi giorni avremo le ricorrenze più fastidiose a chi sta lontano da alcuni temi considerati difficili, diciamo. Il 25 Aprile e il Primo Maggio sono infatti momenti il cui sentimento non è affine a una destra di governo la cui cultura è rimasta quella del Movimento Sociale Italiano di Almirante. Un riferimento ideologico rivendicato spessissimo da una classe dirigente che, pur giurando sulla Costituzione, non riesce, perché impaurita dalla perdita di consenso nel suo stesso elettorato, a sfuggire da quanto ne ha caratterizzato educazione politica e prassi comunicativa. Molto del nuovo consenso arrivato alla destra di governo di Giorgia Meloni, superiore in modo esponenziale a quello di inizio del decennio scorso, quando Fratelli d’Italia stava al 2%, potrebbe essere abbastanza indifferente e non particolarmente nostalgico del regime (se non per qualche vecchio arnese amante delle visite a Predappio). Per cui mi sembra evidente che quella generazione fino ad oggi perdente, che si era formata in via della Scrofa, oggi si ritrova inopinatamente con doveri di governo mai avuti e quindi non voglia o non riesca a trasformarsi in un normale partito conservatore di stampo europeo. Sembra infatti che per ora si prediliga il rapporto con l’elettorato storico e identitario a scapito di chi è approdato su quelle rive arrivando da altre formazioni ed esperienze, pur sempre di destra o di centrodestra anch’esse, ma ugualmente incattivite dagli anni salviniani, in questo rotolamento verso destra del paese che dura da tempo immemore e che assume in alcuni casi tratti grotteschi. Iperstimolata da questo nuovo potere, in precedenza mai esercitato a tali livelli, questa nuova ma vecchissima destra ci parla di temi come la guerra partigiana o le Fosse Ardeatine coi toni di chi non riesce a sentirsi davvero fuori da quella storia, uscita che sarebbe davvero, su queste cose, necessaria e urgente. 

Le celebrazioni della Festa della Liberazione dal nazifascismo e la Festa del Primo Maggio sono momenti difficili perché celebrano la sconfitta storica e impietosa di quel modo di immaginare il mondo, la dimostrazione che il sistema politico che si contrappone al fascismo non è una società senza classi e senza padroni, ma la più serena e tranquilla democrazia parlamentare. Cose che anche uno come Fini (non uno statista brillantissimo quindi) aveva abbastanza digerite già quasi trent’anni fa, con l’eccezione terribile del G8 di Genova, perché la famiglia politica da cui provengono resta quello che è: scarsa di contenuti. E anche di proposte per il futuro. Da vent’anni e passa cercano di convincerci che non può esserci l’antifascismo senza il fascismo, cercando di trarre da questo assioma una nuova egemonia che la logica, prima ancora dell’ideologia, dovrebbe rendere impraticabile. Eppure la storia evocata da queste due date ravvicinate, con i suoi eventi sia di allora che nel presente, ci narra questioni ed esperienze umane che possono ancora essere protagoniste nelle occasioni istituzionali senza artifici retorici, senza eroismi, senza bandiere e per questo profondamente sentite. Fare di queste due giornate delle vere feste di tutto il paese e non solo di una parte di esso non sembra facilmente praticabile nell’attualità, ma sono e devono restare momenti di difesa di due valori non negoziabili, quali il lavoro e la democrazia con le sue istituzioni. Cose non esattamente di poco conto e che dovrebbero far comprendere le differenze con chi di lavoro precario, protezione delle categorie deboli, stato sociale, lavoratori, difesa dei principi della Costituzione, parità di genere non parla mai e se lo fa manda la palla in tribuna parlando d’altro. 

Noialtri ci troveremo nelle piazze, luoghi che tanti democratici hanno abbandonato in questi anni e che però permettono sempre di ricordare da dove veniamo e, perfino, di capire dove dovremmo andare.       


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